domenica 9 luglio 2023

Elio Zambon - Santa Croce del Montello TV, 1924 - Recuperante

Intervista registrata nell'abitazione del testimone nei mesi di aprile e maggio 1994


Nota del 9 luglio 2023  - Carico nuovamente (dopo 13 anni) questa pagina così come la trovo nel mio archivio "di lavoro" perchè - per motivi che non mi sono noti - a una revisione odierna dei link di questo blog non risultava più disponibile. Mi scuso per la qualità

 

Nastro 1994-8                                                                                 Lato A

 29 aprile 1994

Ci troviamo lungo la strada panoramica del Montello, vicino al Piave e all'incirca di fronte a Villa Jacur… vicino all'osteria ai Pioppi… la casa era conosciuta come casa Pizzandolo… in questo posto “hanno attraversato il Piave 50-55.000 tedeschi”

I miei genitori, la mia famiglia sono originari da S. Maria di Feletto, comune di Refrontolo e vennero di qua dopo la prima guerra, io sono del 1924 e ricordo che dove si trova la mia casa attuale, quando ero bambino … vennero i soldati con i muli ad arare la terra e raccoglievano tutti i resti della battaglia, ma la maggior parte dei residuati bellici li mettevano sotto terra, sulle buche e sui camminamenti… I nostri facevano anche lavorare i tedeschi prigionieri, con muli e carretti… portare fuori tutte le munizioni… ma i soldati, quando non erano visti, seppellivano sotto terra la merce per non fare la fatica di portarla fuori…così tanti residuati sono ancora sotto terra e certe armi sono ancora pericolose, soprattutto le perforanti: una granata che viene avvitata per il culo; gli sdrapnels invece non sono pericolosi… Ancor oggi capita che qualche volta qualche vecchio residuato esploda… succede sempre perché tanti prendono questa granata e poi la buttano per terra… ma non si può farlo… non si deve.

Da bambino quando avevo 4-5 anni mio padre mi fece un carrettino con le ruote degli sdrapnel e allora io lo tiravo a casa pieno di cartucce, di pallottole che trovavo qui attorno (le cartucce si potevano raccogliere col rastrello…)

Laggiù [mi mostra un posto vicino a casa in direzione del Piave] c'era una mitraglia tedesca e allora era tutto disabitato, terra agricola: mio padre rastrellava il terreno e io caricavo le pallottole sul mio carrettino e poi passava una persona che le raccoglieva: erano in ottone quindi avevano un certo valore… di questo straccivendolo raccoglitore non ricordo il nome… ora è morto: passava con carretto e muss… passava ogni due giorni tre… e chiedeva se c'era ferro… Poi c'era anche un altro raccoglitore grossista che si chiamava Banese, qui della zona…

Morti. Il maggior numero furono seppelliti sulla terra, qui sono ancora sotto terra, la maggior parte… perché io ne ho trovato, fra io e mio cugino, sei in questa nostra terra, dieci campi… poi quando si andava a ferro se ne trovarono molti altri… seppelliti sulle buche delle granate… perché stavano poco a seppellirli…

Noi siamo arrivati qui da Santa Maria di Feletto… vivevamo con la roba di recupero della guerra… si cercava ferro dentro sui camminamenti, sulle bocche di mitraglia, e chi trovava una bocca di mitraglia [trovava un tesoro], per cento-duecento mila lire… per bocca di mitraglia s'intende una finestrella dove c'erano i soldati al riparo con una mitraglia… e qui vicino in una bocca di mitraglia scoppiò una bomba… vi rimasero uccisi due italiani soldati e noi vi trovammo tutte le canne di mitraglia e tutte le munizioni…

Pagammo la terra con le munizioni della guerra… e non è un modo di dire… quando arrivammo qui, comprammo la terra e soldi non ne avevamo.

Mio padre era Angelo Zambon, nato nel 1895, e comprò la casa e la terra di Pizzandolo subito dopo la fine della guerra… che era da San Polo, o meglio vendette qui per comprare campagne a San Polo… ricordo ora che il proprietario era Bellussi… che era chiamato Pizzandolo…

Fra mio padre e mio zio Giuliano (Jano) comprarono questa campagna che era di 20 campi, ora la campagna è divisa (10 campi ciascuno)…

Ora i figli di Angelo rimasti sono due fratelli e una sorella, perché due sono morti… i figli dello zio erano 5 anche loro… quindi in questa casa c'era un bel gruppetto di persone… e all'inizio si può dire che il raccolto della terra consistesse nel recupero di munizioni…

Mi ricordo che anche dopo diversi anni… quando arrivavano le cambiali e mi toccava pagarle… "Maledetta quella volta che hanno comperato qui…'' sarebbe bastato un ettaro di terra solo, ma in campagna… questa è terra da pipe… qui solo qualche tratto è di terra buona, come in questa vallata… qui non c'è acqua… per irrigare noi avevamo delle "fosse" delle buche, formate dalla caduta di grosse granate (il 305 faceva una buca grande) e lì restava l'acqua… e li si andava a prendere l'acqua per le vacche… invece per l'orto non c'era l'acqua… le bestie erano privilegiate… altrimenti si sarebbe dovuto andare sul Piave.

Per bere non avevamo l'acquedotto e andavamo sulle "fontanelle"… c'erano delle sorgenti sparse nei dintorni. "Di quelle vite, di quelle vite", ricorda la moglie" con le seciéte, a prederla dove nasceva, in queste fontanelle che erano come dei rivoletti d'acqua, una era qui vicino, un'altra in una casa a sinistra prima di arrivare in piazza a Santa Croce del Montello… poi un'altra lì vicino… si faceva la fila per andarla a prendere, perché veniva fuori poca alla volta… le ragazze, le donne andavano a prenderla… e per lavare: sul Piave…

La moglie di Elio si chiama Virginia Collodo, nata nel 1924, originaria da Farra di Soligo… dove la famiglia era sotto padrone… C'era troppo lavoro, tutta collina, e vennero di qui a Santa Croce, ancora sotto padrone: un certo Buzziol Luigi da Montebelluna… lavorarono una ventina di campi… arrivarono qui nel 1938 (lei aveva 14 anni)… "mentre noi siamo nati qui", ricorda Elio, "io e i miei fratelli"…

Morti. Ce ne saranno ancora sotto terra, nei nostri campi… anche dietro casa della moglie trovarono un tedesco… ma non era tedesco, era grande, era un ungherese… e lo trovarono una trentina d'anni fa… dopo la seconda guerra…

Ne ho trovato 14 io, di morti, a Nervesa, ricorda Elio, sempre dentro su una buca, vicino alla filanda, al mulino… vicino a Coda (soprannome di De Ruos… vedi altra intervista). Lì erano andati all'assalto. Gli italiani vennero su all'assalto con il treno, gli arditi… e i morti furono poi messi in questa buca… e io li trovai col radar (cercamine) che avevo comperato a Fontaniva per 135.000 lire. Era il 1956-58 circa "lavoro non ce n'era… allora si andava a ferro", ancora nel 1958, "e si ricordi che un chilo di ferro me lo pagavano 40 lire… dove che il pane costava 60-70 lire al chilo!"

Andavamo a ferro un gruppetto di due tre alla volta… e poi ci si divideva il ricavato… il ferro lo si portava nel cortile di casa e poi venivano a prenderselo col camion…

Il cercamine, lo presi a Fontaniva… mentre l'Augusta di Rovereto ne faceva anche lei… e ne vendette parecchi, qui lungo il Piave e sul Grappa ce l'avevano tutti il cercamine…

Quando si trovavano delle bombe grosse chiamavamo gli artificieri…

Descrive i vari tipi di granate, di bossoli che ritrovava per terra:

quelli tedeschi: "el 75, 105, 149, 205 ce l'avevano anche loro ma lo usavano poco, 305 e 420 che sparavano con cannone: era alta più di un metro"… se ne trovavano una di queste grandi, su per il Grappa in molti le scaricavano … ma capitava spesso che molti ci lasciassero le penne… lui non si fidava… loro quando trovavano una granata ancora da scoppiare la lasciavano lì… venivano su i carabinieri, che avvertivano gli artificieri, che le portavano giù nel Piave e le facevano brillare…

I carabinieri, le autorità allora permettevano questa raccolta… era come un mestiere… lavoro non ce n'era per nessuno… chi aveva lavoro allora?… sono andati tutti all'estero, chi in Australia, chi in Francia, in Svizzera… in Germania…

 

Nastro 1994-8                                                                                                Lato B                                                                                            

Eravamo recuperanti… raccoglitori di metallo…

I miei fratelli facevano i contadini: Loris n 1923 poi andò emigrante in Venezuela, verso la fine degli anni 50… dapprima andò in Belgio, in galleria a cavar carbone… e da lì andò in Venezuela dove ha una campagna e si dedica all'allevamento di bestiame. Mia sorella, qui vicino è sposata… poi avevo un altro fratello, che è morto. Anche due miei cugini sono andati in Australia, verso il 1955-60… si chiamano Zambon Luigi, Ferdinando mentre mio cugino Ugo è andato a Milano e fece il vigile… ora è in pensione.

Racconta di come ha perso la mano e l'avambraccio destro [dopo l’ultima guerra]… nei pressi della centrale elettrica di Nervesa, con una mina messa giù dai tedeschi…

Anche mio padre, nel 1936, andò in Francia. Qua c'era la pellagra! qui al giorno d'oggi non vive nessuno… ogni anno c'e' la grandine… si può dire… l'anno scorso venne una tempesta grossa così… parte da Montebelluna e va fuori per il Castello di Susegana… questa è proprio la zona battuta dalla grandine…

Adesso, in qualche maniera, con la pensione, risparmiando, ce la caviamo… qui un'azienda agricola non ce la fa a vivere… ci vorrebbero “i suoi” attrezzi e almeno 40-50 campi di terra per vivere una famiglia… perché se si vuole mettere frumento, mais, cereali… bisogna avere tutti i suoi attrezzi… e allora questa terra gliela danno a chi vuole raccogliere l’erba…

Moglie. Qui davanti mio fratello fa raccogliere - senza ricevere niente in cambio - da 15 anni l'erba, da uno qui della zona che lavora vari appezzamenti di terra… mio fratello è in Venezuela… qui non si prende niente, chi è che va a segare?… qui è una disperazione, dice la moglie…

Elio e la moglie hanno avuto figli… una fa la casalinga (sposata), una è in carrozzella (handicappata).

"Qui non vive nessuno se non ha un lavoro fuori, in fabbrica"…

Elio. Il grande bosco fu diviso in quote distribuite ai contadini: "una quota = cinque campi"… allora poteva andar bene, riuscivano a vivere, in qualche maniera, tutti sulla terra… ma a quell'epoca si mangiava "mezzo uovo", perché allora le galline facevano solo mezzo uovo… non si poteva certo mangiarlo tutto intero … e poi si mangiava il radicchio…

Mi sembra che mio padre abbia speso di tutta la campagna, dopo la prima guerra, 28.000 lire per 20 campi…

Mio padre poi andò in Francia alla costruzione delle linee elettriche… il posto gliel'aveva trovato un suo zio, Toni,… e mia madre rimase a casa con 5 figli…

Ritorna a raccontare della mina che gli ha portato via il braccio… era dopo la guerra, 42 anni fa (1952) perché sono 40 anni che siamo sposati… stavo falciano l'erba con la falce e colpii una mina (prendendo lo slancio per la falciata … rialzando sulla destra la falce) … tuttora sulla mano sinistra (quella non colpita in pieno) si vedono pezzetti di mina, di scheggia, come pure in varie parti del corpo… le mine erano state messe dai tedeschi perché non fosse stata fatta saltare la centrale elettrica… poi si disse che le mine erano state raccolte dai tedeschi… invece…a lui quell'erba serviva, perché allora avevano queste due vacche in stalla … fui colpito nella parte destra, dietro… e per fortuna perché altrimenti se fossi stato colpito davanti sarei morto… e invece davanti non ho neppure una scheggia… Queste mine erano messe a strappo, con un filo che se viene strappato, tirato, magari perché qualcuno s'inciampa, parte la mina… si sapeva che c'erano le mine, ma si pensava che fossero state tutte raccolte! dopo il fatto diedero fuoco all'area, per vedere se ce n'erano ancora…  io mi feci una ventina di giorni in ospedale…

Era una mattina e dopo lo scoppio, una persona di passaggio… io non persi i sensi, mi rialzai e camminai con le mie forze, la mano sia pur rovinata mi rimase ancora addosso, ma erano staccate tutte le vene, era maciullata… e in ospedale non poterono far altro che tagliarla e eliminarla. Prendo una piccola pensione: 500 mila lire al mese di pensione (ora), ma allora era molto meno… ora non mi fa male, ovviamente con il cambio del tempo, però, la sento…

Mi sono abituato a scrivere e anche a lavorare con la sinistra… ma non ho più tanta presa neppure con la sinistra, perché anch'essa, quella volta si ruppe, si ruppe il muscolo volevano operarmela… ma poi il primario disse lasciamola così che rischiamo di rovinargliela di più…

Da quella volta ripresi ad andare a ferro… io soprattutto portavo il radar, gli altri miei amici scavavano… quella volta che a Nervesa trovammo tutti quei morti, il radar aveva segnato i capèl de fèro (elmetti) … giberne, baionette… questi morti erano stati sepolti con tutto addosso, le loro baionette e giberne, e fucili… e con il portafoglio… erano tutti tedeschi… avevano quelle monete di rame… le vendevamo come rame… niente invece soldi di carta… anche i cappelli di ferro si vendevano come ferro…

Andammo avanti con questa ricerca per tre anni (58-59-60 …) e poi il ferro iniziò a calare, come pure l'altro metallo… noi in particolare si prendeva tanti soldi con il piombo, che valeva 240-250 lire al kg; l'ottone 350 l/kg; 500 e più lire al kg il rame…

Il piombo lo si trovava dove scoppiava il proiettile… erano tutte palline… il proiettile era tutto pieno…

il proiettile tedesco ne aveva 15 kg e mezzo 16 kg, sul 149… mentre il proiettile italiano da 149 aveva 20 kg di piombo…

Le granate italiane più usate erano come quelle tedesche, all'incirca: anche il 37 mm sparato con un cannoncino piccolo, 75 , 105, 149, 205, 280, che io sappia…

Le granate da 105 avevano 7 kg, 5,5-6 a seconda del bossolo, perché c'erano tante qualità di bossoli, più lunghi e più grandi, pur tutte con lo stesso calibro 105.

75 mm: contenevano 2,8 kg di piombo.

Il calibro 35 (37) non aveva piombo dentro… il calibro 280 aveva solo tritolo e quindi per noi non andava bene… il migliore in assoluto era il calibro 149: italiano, dal valore di 5000 lire intero (quelle da piombo le vendevo intere… non mi fidavo di scaricarle); dopo c'era il 149 tedesco “doppio effetto” che aveva sedici kg e quello costava 4500 lire… per doppio effetto s'intendeva che nella spoletta davanti scoppiava in aria la parte anteriore come una schioppettata, liberando tutte le palline… (era regolata all'origine l'altezza in cui sarebbe dovuta scoppiare), quando poi toccava per terra scoppiava ancora: erano gli sdrapnels, erano tremendi…

L'italiano non aveva questo tipo a doppio effetto…

Le granate che rendevano meglio erano quindi quelle rimaste ancora intatte, quelle non scoppiate e ce n'erano molte… erano pericolose… ma io non le aprì mai, le aprivano quelli che le comperavano… che poi ci guadagnavano ancora tanto.

Le granate era difficile che scoppiassero, perché il detonatore era guasto… era fatto di un alluminio che ormai era diventato guasto e si sbriciolava tutto… non ho mai sentito che qualcuno si sia fatto male… con le granate…

Erano invece pericolose le granate perforanti: quelle che erano avvitate per il culo, la punta era tutta in ferro, il detonatore era avvitato per la base… e il perforante nessuno lo toccava… Io tutte quelle che trovavo le ho date agli artificieri; oppure le si metteva più in profondità, in posti sicuri, dove non andavano toccate… e quindi sono ancora là in luogo in cui non vanno toccate… ben coperte, non c'è roba pericolosa a portata di mano… non sono nelle grotte… nelle molte grotte del Montello frequentate dagli esploratori speleologi…

Granate tedesche, contenuto: le 149 doppio effetto avevano 16 kg di piombo, le 205 e superiori erano invece tutte caricate con polvere… quelle di calibro inferiore: calibro 75 = 2,8 kg di piombo… erano più o meno lo stesso peso delle italiane (si copiavano fra di loro)…

Il rame lo trovavamo nella corona… Delle granate scoppiate recuperavamo il pezzo di spoletta in ottone, la corona in rame, le palline di piombo che si trovavano dove era scoppiata la granata… ferro, che si trovava dove partivano le granate 149 (farsi ripetere meglio) … era il bossolo che era in ferro…

Mi ricordo che quando ero bocia c'erano più granate da scoppiare che sassi sul Piave, perché tutte le artiglierie tiravano sulla passerella dove sono passati… e il ferro si trovava dove scoppiavano le granate, il bossolo infatti era in ferro… Tanti di questi bossoli si rompevano in tre -quattro pezzi, e tanti restavano interi.

Concludendo il 149 era il più ricco… mentre i calibri più grossi valevano poco o niente, valevano solo per il ferro … la polvere la buttavano sui campi per concimare… chi si fidava ad aprirli, con scalpello e martello, ma tanti sono saltati in aria in questa maniera. A Nervesa  sono  morti in sette persone… un raccoglitore, portò su una granata e la lasciò cadere dalla spalla. Tutt'attorno c'era un gruppetto di persone, sedute all'ombra di un albero… appena caduta la granata scoppiò e uccise tutti e 7… sarà stato il 1935…

"Era un mestiere pericoloso, ma pitosto de morir da fam! Schei no ghe n'era, lavoro no ghe n'era…!''

Fra le due guerre era più facile trovare i residuati… arando i campi… ma esauriti quelli superficiali si ricorse al radar…

Ora si può dire che gran parte del Montello sia pulito, in seguito all'ultimo passaggio a tappeto con i radar… Adesso tuttavia se ne può trovare ancora se si fanno degli scavi…

La nostra casa era in sassi e roccia, e quando arrivammo qui, subito dopo la guerra, era completamente distrutta dalle granate…

Dai miei campi si vede il Piave e la località Campagnole, con bei campi pianeggianti e ben coltivati a cereali… Furono sempre coltivati, da due famiglie… sono 80 campi di terra, e una volta erano ancora di più i campi coltivati, adesso hanno lasciato avanzare il bosco… a volte la terra va sotto acqua, anche nel 1993… nel 1966 tutto sotto acqua, hanno anche portato via le vacche e tutto, adesso non c'e' più nessuna famiglia che vi abita, sono tutti scappati… adesso la terra è lavorata da un'azienda di cui non conosce il nome… malgrado le alluvioni, chi abitava alle Campagnole e lavorava quella terra in riva al Piave stava meglio di loro sulla costa del Montello … purtroppo la tempesta veniva anche lì… ma il foraggio, l'erba, i cereali crescevano…

La passerella era stata messa dai tedeschi un po' più su delle Campagnole…

 

Nastro 1994-9                                                                                           Lato A

 

 

In quel punto del Piave-Montello furono anche sparate delle bombe di iprite, io lo so perché ne sono state trovate, sul luogo…[la chiama leprìte] … dentro c'è un liquido, c'è un vaso pieno di un liquido un vaso di ferro o di piombo a seconda… c'era l'iprite sia nel 105 che nel e poi avvitavano una spoletta e basta… quando sparavano sulla buca questo liquido… produceva questa iprite un po' di fumo … e chi era lì vicino, o passava nei pressi, vedeva il corpo ricoprirsi di vesciche, nei genitali e nelle parti più delicate, sulle ascelle … sulle ghiandole… Capitò anche a un recuperante che scaricò una granata con l'iprite ancora su… per questo i recuperanti sanno distinguere le granate con l'iprite… ne hanno sparate un po' dappertutto, qui sul Montello…

Poi c'erano le granate da gas… quelle dei tedeschi erano foderate dentro con il piombo, quelle italiane avevano invece un bussolotto di ferro avvitato dentro al bossolo… quando scoppiava la spoletta spaccava il bussolotto (e sempre con il 149 e il 105 e talvolta con il 205… c'erano quindi bombe da gas sia tedesche che italiane… ma mentre il gas l'hanno usato fino alla fine, la leprìte l'hanno usata solo all'inizio e poi non l'hanno più usata… forse si sono accordati per non usarla più.

Questi proiettili di iprite e di gas c'erano un po' dovunque… C'erano inoltre le granate incendiarie… che venivano lanciate principalmente dove c'erano le munizioni, i depositi…

Ma la maggior parte erano quelle italiane e tedesche, di gas: a volontà… ma per i raccoglitori non era un buon affare le granate da gas… solo per il ferro…

Inoltre quando i tedeschi andavano all'assalto se trovavano dei soldati nostri morti li lasciavano stare… ma se ne vedevano di ancora vivi avevano una mazza lunga circa mezzo metro in ferro… mazze ne ho trovate diverse e le ho vendute a ferro vecchio… le ho trovate all'inizio, nei primi tempi… ora io in casa non conservo niente, neppure un cappello di ferro e sì che ce n'erano tanti… non ne voglio più sapere, che i vada in mona… non vogliamo più saperne delle guerre… Sono venute parecchie persone a vedere se avevo qualcosa da dargli… e qualcosa ho dato, ma poca roba…

Quando ero piccolo si scendeva qui giù per il bosco e si trovavano mezze teste, denti, ossa… di tutto… si lasciavano lì… anche perché se lo si diceva al cursore comunale lui ti diceva parole, perché gli rompeva i coglioni a lui, che avrebbe dovuto venir sul posto con la cassetta, in bicicletta e poi portarle all'ossario …

Deve essere stata la fine del mondo qui, quella volta… tutti sparavano qui, sia i tedeschi che gli italiani… perché dalla parte di là era la casa Jacur… era una villa di ebrei… "a casa dei ebrei".

Mia mamma veniva a frumento fin qui in riva al Piave… e una volta i tedeschi la misero in prigione per un pochi di giorni… tutte le donne [di là del Piave] erano messe a fare strade per i tedeschi e poi quando avevano un po' di tempo andavano a raccogliere spighe di frumento… e una volta erano proprio vicino al Piave e spararono loro addosso con le artiglierie… erano venute fin quaggiù alla Mina, vicino a Colfosco e al Piave… “tiravano su” quello che trovavano da mangiare, perché tanti morirono da fame… I tedeschi glielo portavano via il frumento, a volte… anche perché avevano più fame della gente del posto… mia mamma si chiamava Maria ed era del 1895. Lei si ricordava tutto, aveva la mente lucida… Mio padre per poco moriva dalla fame… e durante la ritirata dei tedeschi fu preso e accompagnato avanti con loro (?) e quando tornò indietro perché erano arrivati gli italiani… ricordo che mia madre raccontava che lui prendeva a calci i morti tedeschi … e per poco stava per morire anche lui.

Ne sono morti parecchi di fame nella sinistra Piave… A Santa Maria del Feletto nessuno era andato profugo, e neppure “dentro alle linee” tutti erano andati profughi. C'era chi continuava a lavorare la terra… ma il guaio era che poi i tedeschi li depredavano di tutto… insomma fu fame. Quella volta della prigione, per le spighe di frumento, mia madre si fece 15 giorni…

Io andai a scuola in una baracca di Santa Croce… anche la chiesa era in una baracca… poi arrivo' Mussolini e … voleva che si andasse a fare il premilitare e mio padre mi rimproverava, e diceva "ghe n'é e vache da ndar a past, altro che ndàr a far i mone…".

Mio fratello andava a scuola a Treviso e se voleva far ginnastica, le scuole (frequentava il ginnasio) dovette comperarsi la divisa fascista… non la portò mai a casa perché altrimenti mio padre l'avrebbe bruciata… Era il fratello che ora è in Venezuela… aveva iniziato ad andar prete, ma poi scappò via… era stato a scuola a Bassano, vi rimase un anno … erano andati in due tre del paese… avrebbe poi proseguito e far l'esame di maestro ma non continuò più… invece andò in Belgio in miniera… non sopportava i fascisti (?) … poi durante la guerra scappò… si mise con i partigiani… ci furono anche dei rastrellamenti dei tedeschi… perché di là a Miane c'erano i partigiani, e ce n'erano anche quassù… e tre partigiani furono impiccati a Santi Angeli. Ma più che partigiani erano ragazzi che non volevano fare il militare… e furono presi e impiccati…

Io feci un po' di naia, di leva, a Feltre degli Alpini… e riuscii a scappare il giorno 8… e rimasi nascosto giu' per i bus, qua… e quando dicevano: ecco “varda che i rivascampea in tel bòsc, de qua e de à… oppure attraversavo il Piave e mi portavo dall'altra parte… se era asciutto oppure anche se c'era l'acqua…

Noi avevamo le mucche e bisognava guardarle che non sconfinassero… così voleva dire pascolar… in altre parole suo padre non voleva saperne di politica… non era uno che particolarmente odiasse Mussolini, ma non voleva saperne… voleva star per conto suo…

I tre ragazzi impiccati a Santi Angeli non li conosceva perché erano da giù, verso Volpago… furono impiccati  nei pressi dell'osteria… Qui a Santa Croce ne uccisero uno, partigiano… era stato preso tentò di scappare e lo fucilarono mentre fuggiva, me lo ricordo… e poi fu raccolto dalle femmine del posto e dal prete… "maledette le guerre… se invece che fare cannoni facessero tutti trattori e tutta roba che serve… sarebbe oro per noi…!".

Sipe erano delle bombe a mano nostre, italiane… quelle tedesche avevano il manico…

Qui la terra era agricola e c'erano molti gelsi per i cavalieri… si andava su per i gelsi a levare schegge e palline di piombo infisse in questi gelsi… i filari erano traversali… seguivano la linea di livello… quando si andava a tagliare la foglia per i cavalieri, questi morèri erano tutti "mutilati"per via delle granate e delle schegge…

Come alberi dopo la guerra ce n'erano pochi… c'era quel po' di biava… e la gente si accontentava di poco per vivere… adesso invece ce ne sono due tre per casa che lavorano… inoltre ci sono delle persone in pensione che lavorano la terra… ma giovani che fanno i contadini non ce ne sono.

In molti (?) morirono con le mine che colpirono Elio alla centrale di Nervesa…

Parla la moglie. Mio padre diceva sempre che erano morti due suoi fratelli, nel giro di 15 giorni su a Tolmino… erano in tre fratelli sotto le armi, di uno trovarono solo il cuoio capelluto…

E mio padre mise una mano sul reticolato per aiutarsi ad alzarsi… e in quella arrivò una scheggia e si trovò con la mano rovinata: in ospedale volevano tagliargliela ma lui si mise a piangere e a supplicare "No, no non lasciatemi andar casa e presentarmi da mia madre senza una mano"… e in qualche maniera gliela salvarono… ma d'inverno la mano si gonfiava tutta e diventava tuta nera… e non prendeva né pensione né niente… Lui pensava a sua madre… ma nel frattempo sua madre era morta anche lei, sotto i tedeschi, da fame… perché aveva due figli piccoli a casa… e per salvare loro si privava lei di quel poco che c'era… Mia nonna si chiamava Virginia Collodo… e morì da fame a Farra di Soligo… morì per la gran debolezza… si gonfiava e poi moriva… e sì che avevano della terra loro, non se la passavano male… avevano della terra in campagna e poi ne avevano anche in collina… avevano tre bestie grosse in stalla e gliele portarono via tutte tre… e allora mia nonna disse loro… ''almeno ce ne lasci una che ho il figlio piccolo qui" e loro gli risposero che no, dovevano mangiare anche loro… Furono depredati anche delle galline, oltre alle mucche… non avevano più nulla da mangiare…

 

Nastro 1994-15                                                                                              Lato A

 

Aggiunte e precisazioni, 20 maggio 1994

 

Elio Zambon. Questa casa in cui abito è sempre stata chiamata casa de Pissandolo perché c'erano delle rocce a piombo dove convergeva l'acqua scolante quando che pioveva (cioè pissàva)… d'altra parte tutte le case della zona sono “tutte battezzate”, hanno tutte un soprannome…

Il radar lo comprai da Elio Bertuzzo a Fontaniva, che aveva un negozio… ma l'attrezzo non era un'Augusta… era una marca sua, diversa, aveva più potenza… funzionava a batteria…

La ferita della mina… ha colpito solo la parte destra…

Era la prima volta che andavo a tagliare l'erba in quel posto: la prima volta in assoluto, dopo la guerra… c'era un gran groviglio, imboscato… allora si andava tutti a cercare l'erba per la stalla, per le vacche… mine ne erano state messe dappertutto, sul bosco, di qua, di là… ogni tanto c'erano le volpi, i cani che saltavano per aria e facevano sparare le mine… io pensavo che quel posto fosse sicuro… Non ricordo il giorno in cui successe…

Da Coda trovò 14 morti… ma senza fucile… a volte i morti li trovavano col fucile, con la maschera, con le giberne, col portafoglio anche… e lì no, in quella buca no… erano tutti tedeschi.

 

Nastro 1994-15                                                                                             Lato B

 

Un morto lo trovammo vicino al bocciodromo, a Nervesa, dove hanno fabbricato: quello aveva anche il pennello per la barba fatto con una cartuccia sua tedesca… e aveva ancora una scatola di fiammiferi di sicurezza ancora intatta, dopo quarant'anni… penso per la conformazione del terreno: c'era sabbia e anche ghiaia, lì.… la località è al Dus, dove c'è anche la ferrovia… appena passata la ferrovia a sinistra… Dei tedeschi erano arrivati fino da Agnoletti a Giavera, l'osteria.

La casa in cui abito è quella dei genitori… ma appena sposato mi ero trasferito in varie parti nei dintorni: a Bavaria, a Nervesa…

Anche a Bavaria ho trovato due morti, dietro Mussa, per andar sul Castel de Sotto, prima della ferrovia, perché gli italiani erano tutti appoggiati sulla ferrovia (e lì venne ucciso Mario Fiore… colpito perché nella ferrovia c'era un buco… Fiore era un comandante… ha il monumento).

I due tedeschi di Bavaria non li guardai molto… c'era l'operaio che scavava che raccolse il loro cappello, la maschera, le giberne… noi cercavamo il metallo… erano buttati lì in una buca… ed erano senza fucile…

Verso la Casa Bianca, a Giavera, vicino alle vasche… dove i tedeschi erano andati tanto avanti… anche lì i tedeschi fecero molti morti, sia tedeschi sia italiani… la casa bianca fu presa e persa sei volte…

Io non aprivo mai le granate, ma sapevo il peso che avevano perché quello che le comprava le apriva lui…

Il 149 italiano aveva 20 kg di piombo (e valeva 360 lire kg…)… la corona di rame pesava sei etti, la spoletta di ottone altri sei etti… poi il ferro del bossolo… alla fine prendeva 5000 lire

Il suo amico e collega Checchi Gottardo detto Tobia (da Bavaria)… sapeva bene anche tutti i prezzi…

Altri recuperanti li si trova a Santa Maria (del Montello), è gente che viene da Enego… è Cappellari, aveva 400 casette di miele… ora non più perché aveva le api malate… lui è stato anche … nei pasticci, perché gli trovarono delle bombe inesplose… e invece quelle inesplose bisognava darle agli artificieri.

Eravamo in tanti sul Montello che si cercava residuati bellici… c'erano i Frare da Bavaria, ma anche quello… [ebbe dei guai] perché gli trovarono delle granate facendo…

Prima voleva il ferro, il governo, e gli andava bene tutto… e dopo quelle pericolose i recuperanti le seppellivano profonde… ma passando con l'acquedotto le trovarono e li incolparono… e dovettero ricorrere all'avvocato (non in prigione… una multa)… avrebbero dovuto darle agli artificieri e loro non lo fecero… ma a volte non lo si faceva… anzi spesso non lo si faceva… perché se si fossero chiamati gli artificieri ogni volta che si ara perché magari si trova una sipa (bomba a mano) … ovviamente questo si trova arando con la macchina… e lo si trova ancor'oggi, se si ara a fondo…

Anche all'Isola dei Morti sono passati i tedeschi…

I Frare Enrico e Gabriele da Bavaria… lungo la strada partendo dalla chiesa grande di Nervesa si continua per un km e lì vicino alla strada confina la loro casa… lì sono passati con l'acquedotto e hanno trovato le bombe… Frare comprava anche le bombe…

Cappellari da Santa Maria della Vittoria per parlarci assieme bisogna trovarlo nella giornata buona (…).

Qui giù nel Piave, sotto casa, ho trovato delle ancore, e delle cassette di munizione cal. 75. In ogni cassetta c'erano tre (o quattro) proiettili con bossolo di ottone pronto per essere utilizzato col cannone… lì erano passati anche coi cannoni e coi proiettili 105 e 75, che portarono di qua…

Un'ancora pesava 70 kg… ne ho vendute tante e una ne ho data anche al comune… mi sembra che l'abbia messa sull'ossario… non so.

Qui c'erano anche tante barche in ferro come quella che si trova sull'argine a Nervesa… una dovrebbe ancora essere a Santa Croce sulle scuole, dentro, appena fuori… erano tutte di quella grandezza (per andare verso la presa 4 dove hanno fatto anche un monumento)

erano tutte in ferro le barche tedesche, e anche rimorchiate (attaccate) una con l'altra…

Non avevano nulla a che fare con la barca classica dei traghetti del Piave, che invece era in legno…

Il barcaiolo tra Santa Croce e Falzè era dapprima Leone, il vecchio, e poi Emiliano Bibi… ora è morto sia lui che la moglie… abitavano appena di là del Piave… sopra la grava…

Il passo si trovava alla 4, cioè alla fine della presa quattro, la stradina che va giù al Piave in fianco della chiesa di Santa Croce…

Era una barca abbastanza frequentata, per andare magari a Falzè o a Pieve di Soligo, al mercato del sabato… allora c'era tanta acqua in più nel Piave.

I figli di Emiliano abitano ancora lì, di là del Piave: uno è Narciso, chiamato Ciso…

La barca era spinta da una stanga di legno, lunga… Non sa chi costruiva la barca…

Un'altra “barca” era a Nervesa, ed era condotta da Rossi, il padre di Rambaldo Rossi… fu attiva fino a poco dopo l'ultima guerra… e serviva per transitare verso Colfosco, o al mercato di Pieve… oppure ancor più spesso alle osterie, alle frasche che c'erano di là… infatti a Colfosco ce n'erano molte, di più che non in destra Piave… C'erano soprattutto molte frasche, cioè vendite dirette di vino da parte dei contadini…

Ad ovest di S. Croce invece, verso Vidor, non c'erano altri passi a barca… c'era il ponte di Vidor.

Poi noi (io e Checchi Tobia cioè Gottardo Francesco) comprammo una barca dalle parti di Maserada, per andar pescare. Pesce ce n'era abbastanza: soprattutto squali e barbi… una volta ho pescato anche una carpa che pesava 7 chili, pesata con la bilancia…

La barca a Maserada la comprai verso la metà degli anni '60 da un capitano, un graduato… che abitava dalle parti di Maserada, Salettuol… era una barca in legno… e le barche del Piave erano fatte così, tutte uguali… e portavano 10 persone.

E poi avevano una banchetta in cui i passeggeri potevano sedersi (ricorda la moglie). Io avevo paura dell'acqua e allora Emiliano mi diceva: "Séntate Ginia, séntate…che no te vai anca in afàno…" ["Siediti, siediti… che tu non mi svenga". Ndàr in afàno = svenire] nessuno però cadde mai dentro l'acqua…

Io comunque ne salvai molti dall'acqua del Piave… io ero "il caimano del Piave", allora avevo tutte due le mani. Al tempo dei partigiani, questo ragazzo stava attraversando il Piave dal Montello verso Falzè, aveva lo zaino carico di munizioni e non seppe trovare il posto giusto in cui l'acqua era guadabile (lo stava attraversando a piedi)… e cadde in una buca profonda e fu subito in difficoltà… e allora io saltai in acqua e lo salvai…

Ero sempre giù sul Piave a nuotare…

Moglie. Elio era sempre sul Piave: al pomeriggio dopo mangiato, invece di andar "buttarsi giù un fià" [fare un pisolino] si mettevano d'accordo e andavano tutti "" sul Piave a nuotare…

Zambon. Era il nostro divertimento, altro non si aveva da fare… anche da grandi, da maridadi… anche di 40 -50 anni…

Per noi non era pericoloso, pericoloso era per chi non sapeva nuotare…

Ci si metteva sopra una roccia… c'erano tutte queste rocce lisce, con questa "pelle" (rivestimento…) che si scivola… e se qualcuno non era pratico scivolava.

C'erano due ragazze che si bagnavano un pochino, toccavano l'acqua… una non cadde dentro? come cadde dentro, l'altra amica fa per salvarla e salta dentro anche lei… e il ragazzo che era assieme a loro era di là del Piave… e aspettare che venisse di qui sarebbero morte dieci volte… allora io — io ero nudo, anche — ho visto che c'era tutto un balón, un groviglio… ero sopra una roccia, sono saltato a  tuffo e sono andato lì dove vedevo l'acqua che andava a torno (girava) e le ho portate fuori…

Moglie. Andavano a fare il bagno tutti nudi, anche perché non c'erano ragazze, di solito…

Zambon. E poi non c'era stoffa… Fra l'altro neppure normalmente si portavano le mutande, solo le braghe. Sul Piave, qui, si era in quaranta, cinquanta, cento persone e si andava dove l'acqua era più profonda, dove c'erano le rocce per saltare e fare i tuffi: tutti nudi…

Eravamo noi ragazzi della zona… e andavamo qui, "sotto Saccardo" perché l'acqua sfiorava in quel punto proprio le rocce del Montello e lì c'erano di quei buchi profondi anche 6-7 metri e anche di più… e lì si andava perché c'erano le rocce alte e si potevano fare i tuffi…

 

Nastro 1994-16                                                                                            Lato A

 

Moglie. Adesso invece sul Piave vanno a fare pic-nic…!

Zambon. Adesso è tutto moderno …

All'epoca cosa potevamo fare… non c'erano macchine, non c'erano moto, non c'erano neppure biciclette… cosa si faceva? e allora tutti si andava a divertirsi sul Piave…

Moglie. E non si riusciva mica a tenerli! Una volta mio figlio aveva una bicicletta… una volta si erano rotte le camere d'arie e i copertoni, e soldi non ce n'erano. Allora lui riempì i copertoni con il "fiorume'' [tritume, briciole] del fieno: ''vado a fare un giro fino in piazza", disse e tu tu tu tum, riuscì a fare un poca di strada ma lasciandosi dietro tutta una scia di fiorum!

Zambon. Su in paese c'è una barca dei tedeschi (a S. Croce).

Di quei gironi sul Piave nessuno ha la fotografia… nessuno aveva macchine fotografiche.

Io avevo imparato a nuotare ancora quando avevo sei anni…

Moglie. E insegnò a mio cognato e al fratello di mio cognato (fratelli di Elio) che scappavano e la mamma non voleva assolutamente che andassero sul Piave… allora loro si erano preparati una "tassa" di fascine dietro la casa appoggiate al muro e allora al pomeriggio facevano finta di andare a letto poi saltavano sulla catasta delle fascine, alla quale avevano appoggiato una scala e poi, giù per la scala e alè, via sul Piave…

Zambon. E poi io avevo insegnato ai miei fratelli, per riuscire a passare l'acqua del Piave pur non essendo ancora pratici di nuotare: prendersi in braccio una croda pesante… e poi passare di corsa sotto l'acqua, dall'una all'altra parte del Piave… quello era un divertimento… con la croda in mano i corpi non andavano a galla… quando l'acqua era profonda… così invece con il sasso in mano si potevano attraversare sotto acqua i punti più profondi (magari 2 - 3 metri)… chiudevamo la bocca e via, passavamo di là! (se non ci crede, chieda a mio cognato, Da Riva Luigi, a cui gliel’ho insegnato io). Il sasso veniva tenuto con una mano e con l'altra ci si aiutava nell'acqua come a nuotare… altrimenti non si sarebbe riusciti a camminare sotto acqua… l'acqua tende ad alzare la persona…

Erano ragazzini, non avevano paura… avevano 10 anni meno di me… erano bocéte… e poi però impararono subito a nuotare… glielo insegnai…nuotavo a stile libero (o meglio con stile personale)…

E quelli che venivano poco sul Piave (come il fratello più vecchio del cognato, Da Riva) li si conosceva subito da lontano perché erano tutti bianchi, a differenza di me e degli altri della compagnia, che eravamo invece tutti neri per il sole… e allora io e gli altri li deridevamo (…)

E quando c'era un temporale e grandinava violentemente, mi ricordo "Come fóne?" [Come facciamo?], chiedeva qualcuno dei più giovani e inesperti… "Scampón, scampón!" [Scappiamo, scappiamo!], dicevano "Dove volete scappare?… sotto acqua, ghe ò dita!" [gli ho detto]… e allora ci si buttava sotto acqua e ci si riparava la testa con un sasso piatto con una (…) e si attendeva che passasse la tempesta… ed era un metodo che serviva…"

L'acqua del Piave era molto fredda, ma allora si era anche ben più giovani… adesso che ho 70 anni si che è fredda…

Nessuno della nostra 'società' (compagnia) ebbe mai incidenti nel Piave…

A Falzè una volta ne salvai tre in un colpo solo… lì sulla “croda della spia”, più su del passo a barca, da Breda…

Qui da noi a Saccardo… l'acqua, chiudeva i buchi, ne faceva di nuovi… e allora andammo su di là che c'era una bella roccia alta con un fondo di sei sette metri di acqua  (dalla parte di là del Piave)… e allora sono lì… ci sono tre persone: una ragazza e due ragazzi… vanno lì, si buttano sull'acqua… e i ragazzi insegnano a nuotare alla ragazza, la tengono come a galla, no… piano piano, una due volte… e poi cosa succede? tornano dentro ancora e c'è un cagnolino che si getta in acqua e cade sopra la schiena della ragazza e la spinge giù… con la testa sotto acqua… e allora lei spinse giù loro (per aggrapparsi e cercare di salvarsi)… e loro, per venir su fraccano giù lei… insomma io osservavo la scena e li ho lasciati lì finché avevano la lingua fuori così, finché ormai erano morti… (lui si godeva a vederli in difficoltà, …moglie)… Ci saranno stati una quarantina di persone che osservavano la scena e tutti guardavano me, aspettavano che io andassi a tirarli fuori, a salvarli…  E io ho detto, no… ancora no, aspetto… hanno fatto i bulli fino adesso… e adesso lascia che bevano acqua, mi dicevo… e cosa succede… c'è una roccia che si inerpica e io faccio finta di salirla, di andar su per la roccia… e tutta questa gente che mi guarda e mi dice, tutti questi boce, che avevano 5-6 anni, 7, 10-15 anni  "li lascia lì che si anneghino"? dicevano e allora io continuo a salire e quando sono su, un bel pezzo… faccio una corsa,  faccio un salto in aria nel vuoto e punf mi tuffo nell'acqua e inizio a portarli fuori… I bocie tutti picadi [i ragazzi che siagrappano], uno mi tirava per le braccia, un altro così… alla tosa levarono i reggipetti per tirarla su… e poi, guarda, anche allora si sapevano le cose… i boce l'hanno messa distesa con la testa in giù hanno iniziato a farle dei massaggi, tira e molla, tira e molla, lei buttava fuori acqua di pieno e in un po' di tempo si riprese… Io avrò avuto una ventina d'anni… mattità, mie!"

Il dottor Breda, di Falzè ci restò dentro l'acqua.… disse "vado fin a riposarmi un pochino", aveva appena mangiato e partì lui e suo fratello al pomeriggio e, andato dentro all'acqua… ci restò…

Allora potevano chiamarmi il “caimano del Piave”, altro che il film che hanno fatto tanti anni fa (sulla battaglia del Piave)… io passavo il Piave anche quando era in piena… non dico proprio nella grande alluvione…

Moglie. Si levava tutti i vestiti (la roba) e se la legava attorno alla testa e passava di là … arrivato di là si vestiva e per ritornare di qua faceva altrettanto…

Zambon. E quando c'era la sagra di S. Anna (di là del Piave) io, siccome i ragazzini volevano risparmiare i soldi del passo a barca… ma non sapevano nuotare… io li prendevo, li mettevo in spalla e li portavo di là nuotando… gratis…

Non c'erano altri caimani del Piave come me. Io avevo 7-8 anni e c'erano uomini, ragazzi grandi che quando io passavo vicino a loro scappavano perché avevano paura che io per scherzo li buttassi dentro l'acqua!

Più grande era l'acqua, più io mi divertivo… e quando il Piave montava e si ingrossava "i iera i divertimenti più bei quei là! Quando c'erano di quelle onde alte quattro cinque metri… [?!]

Moglie. Noi si andava col carro sul Piave a risciacquare la biancheria (resentàr la lissia)… e avevo tanta di quella paura… prima si andava a prendere l'acqua con le sécie e si lavava la biancheria sul mastello e poi per resentàrla si doveva andar sul Piave. E mia zia mi spiegava "bisogna far così con le lenzuola… e mi mostrava che si doveva entrare un pochino nell'acqua"… ma io avevo tanta paura…

Zambon. Le onde… il fatto è, che sotto al Piave ci sono delle rocce e quando l'acqua passa via sbatte addosso e si innalza, e fa delle onde molto alte e noi ci si godeva a tuffarsi dentro l'onda… e l'onda ci portava… a galla? non occorre mica muovere le mani, per stare a galla! se io vengo buttato dentro l'acqua legato mani e piedi io resto a galla lo stesso…, con la pancia alta…

Sono andato una volta al mare… dormivo io, sul mare! Voi non sapete niente… bisogna buttarsi e lasciarsi andare, si possono fare chilometri… ma bisogna con la testa stare a livello… e quando arriva l'onda si tiene la bocca chiusa e quando è passata l'onda la si apre per respirare…

Pesci ce n'erano, ma non c'era olio! per mangiarli… per cucinarli… li si cucinava col grasso di maiale… bisogna friggerli (quella era la ricetta)…

I pesci della zona sono la bisata (ce ne sono molte), la trota, il barbo e lo squal (cavedano)… e le marcandole [lasca aranciata, Chondrostoma genei] arrivano fin qui a Nervesa, vengono dal mare… sono dei pesci grossi al massimo come una sardina (più grande non viene) ma viene su a migliaia… e quando vanno in frega si vede altro che nero, sul Piave, si vede una macchia nera… e con una balanzéta si prendono anche 50-60 pezzi…(con una rete piccola così, una balanzéta da un metro e mezzo).

La carpa invece la pescai qui dalla diga, gli chiamo la diga, cioè lo sbarramento del canale a Nervesa, il canale della Vittoria, lì alle porte… l'ho presa con la bilancia e senza barca… (ho la foto) … e in fotografia c'è Ignazio, non io che l'aveva pescata…

I pesci però non erano venduti, non c'era un commercio, li si regalava agli amici… anzi una volta li ho cotti in barca, col gas e li abbiamo mangiati così (a scottadito)… e tutta la gente che c'era sulla spiaggia, che prendeva il sole, bambini e uomini, tutti quelli che c'erano tutti a mangiare pesci… io con la bilancia che li pescavo e Checchi Tobia li puliva e li lavava e lo sceriffo li cucinava col gas (si friggeva, ma questo era già più tardi, ci eravamo messi d'accordo)… eravamo sul Piave… con la nostra barca…

Poi la barca ce l'hanno rotta, pestata… noi l'avevamo lasciata lì legata… chi la voleva noi la prestavamo, gli davamo le chiavi…

Però non c'era nessuno che facesse il pescatore di mestiere (come sul Sile) … il fatto è che da Nervesa in giù l'acqua resta morta (non ce n'è più)… all'estate sono rari gli anni in cui c'è acqua: la si tira tutta dentro all'irrigazione… fra Crocetta e Cornuda, non so quanta acqua tirino dentro: mi sembra 24 metri cubi…

Ma qui a S. Croce acqua ce n'è sempre perché c'è il canale della Vittoria che poi va giù… A Nervesa ci sono tre canali… li chiamano il canale della Vittoria… lì sulla diga ce n'è uno di grande che dà acqua a tre diramazioni: una va per Spresiano, una per…

Sagra di S. Anna, la sagra delle angurie: si andava proprio per mangiare le angurie… c'erano le baracchette che le vendevano … ce n'erano tante baracchette… Poi c'erano i buffolà, quelli neri col buco in mezzo: erano quelli che costavano meno, erano tondi, una decina di cm di diametro, con dentro un buchetto in mezzo, erano marron di colore… ma boni…

Poi c'erano i soliti banchetti con regali per bambini… gelato… Era una sagra molto nominata… quasi come quella di Cornuda… adesso le sagre hanno perso… come qui a Santa Croce: una sagra le dicono… la chiamano! ma non c'è neppure una baracca, oppure sigagni (zingari), o giostre… ma non c'è più niente…

Con il Montello però io non ero molto in confidenza… come gioco, lì non c'era niente… io andavo sempre sul Piave… lì, alle Campagnole, avevamo anche fatto un campo sportivo… e c'era Soldan Narciso (il portiere del Milan) che era di Santa Croce, ora è morto… abitava proprio sulla casetta vicino al Canale, qui più avanti… suo padre era guardiano del canale… era dopo la guerra… e questo Soldan si può dire che chi l'ha allenato siamo stati noi, c'ero io, c'era Vittorio Da Riva (che ora è in Venezuela), c'era Bruno Dalto, Nino Da Riva, poi c'erano Jijeto, Angein (gli altri due in tutto 4 fratelli Da Riva da Santa Croce).

Si andava a giocare a calcio descólzi (scalzi) non si avevano mica scarpe! e perdevamo le unghie! (moglie) a sbattere con i piedi seui sassi e gli ostacoli vari del  campo, anche se avevano trovato uno spiano in cui c'era soprattutto sabbia… era sempre su terra del Demanio…

C'era inoltre Ennio, Lino, Remo Zanella, poi Bruno e Luigi Zanco; Liberale e Luigi Basso… tosati del paese… e Soldan era il portiere… e noi gli tiravamo di quelle cannonate ma lui parava con quelle parate! e poi passò col Milan… e prima andò a giocare contro il Col San Martino, il Vittorio Veneto, con una squadra  (locale).

 

Nastro 1994-16                                                                                             Lato B

 

Non avevo nessun soprannome…

Ho bei ricordi di quegli anni e di questi giochi sul Piave…

Anche la moglie ha bei ricordi di quegli anni “ma sul Piave ci andavo solo per lavare e per passare di là, con la barca”…

Solo dopo la guerra ultima sono arrivate le mutandine, in riva al Piave… e allora iniziarono a venire anche le donne… ma comunque non è che ci fossero (anche prima) stupidaggini per la testa, fra i bagnanti del Piave, [anche se erano nudi]

Moglie. Anche i filò una volta erano molto belli …

Zambon. E adesso invece non ci conosciamo neppure da qui a lì… "Se si cominciasse a bruciare tutte le macchine…! In otto giorni si tornerebbe ancora a quei tempi, di allegria e di tutto"…

Moglie. Quanta allegria, quante cantate!…

Zambon. E invece se adesso passa uno che canta, si dice: Quello lì è matto! E una volta si cantava tutti!

C'era anche tanta miseria (conferma), ma come compagnia, come allegrie… neppure da mettere con adesso…

Moglie. Perché si era tutti compagni (uguali)!

Questo modo di vivere è andato avanti fino a pochi anni dopo l'ultima guerra… Adesso i ragazzi non vanno più sul Piave… ci vanno così con la morosa, a prendere un po' il sole, a fare pic nic…

Serpenti: quanti!… carbonass, usérton (o bòr), ande, bisso rospèr (che mangia i rospi)… L'anda è come il carbonass, solo che è più lunga… il carbonass è nero.

Usérton o bòr: sono i ramarri, che però non fanno niente, dice Elio… "Eh proprio… si attaccano, loro!" (moglie)… "Hanno ragione! (Elio)… perché gli uomini gli fanno malagrazie, altrimenti loro non attaccherebbero…".

Moglie. Mio padre me la raccontava tante volte… pensa che uno stava falciando l'erba, che era tanto alta… e per fare i suoi bisogni si spostò, in mezzo a quest'erba alta… e si vede che toccò la coda del ramarro… che si attaccò al gluteo e suo fratello dovette tagliare con la britola la pelle tutto attorno alla bocca del ramarro, che non apriva più la bocca perché i denti si erano infissi dentro la pelle … e non riuscivano più a tirarlo via…

Elio. Ho sentito anche di una donna, che si appartò per fare i suoi bisogni e il bor la attaccò   [bòr= in dialetto di S. Croce; usérton a Farra]…e el se à picà sul cul e allora la consigliarono di mettere il culo sul secchio del latte…e in questa maniera il ramarro si staccò…

Mi i biss no i cope… no i é nocivi!… Qualcuno addirittura li prendeva e se li metteva dentro al seno, per bravura.

La vipera è un'altra cosa… lei deve aver paura del biss piccolo, del serpente piccolo, quando ha quaranta cm è pericoloso… è la vipera, che non è più lunga di 30-40 centimetri.

Mia madre, me lo raccontava sempre, ma c'ero anch'io assieme… lo chiamavano il "galletto di montagna", quello è lungo 40 cm… è un serpente… quello è il più velenoso di tutti, anche della vipera… è grosso come un braccio… si trova sul Montello e lungo il Piave (fra Piave e Montello)… adesso non lo si sente più (perché hanno buttato via quei veleni lì, i diserbanti … moglie)… ma una volta Da Riva ne ha ammazzato uno… quassù sul vigneto ce n'era uno che cantava sempre… cantava da gallo! e non era un modo da dire… cantava proprio da gallo e non era molto grande … e aveva una crestina rossa sulla testa… era il più pericoloso…

Allora mia madre mi fa: "Guarda che bel nido, lì… (era alto, su un alberello, un cespuglio di nocciolo)… alza la mano e fa per metterla dentro… e vede saltar via questo affare… perché salta, non corre… Insomma mia madre ha preso tanta di quella paura… ma non ha attaccato, è fuggito… Tutti i serpenti fanno così, a meno che non li si pesti…

Moglie. Anche qui in cucina, qualche anno fa ci capitò di trovarci un serpente… avevamo un gatto persiano che era sopra la poltrona, che guardava e guardava: si era accorto che c'era qualcosa di strano in casa sua… e lì in terra su un angolo, dietro la poltrona c'era infatti una anda… bella lunga…

Allora andai a chiamare un mio cugino che abita qui a fianco… vieni subito che c'è un biss in casa… va là va là, cosa vuoi, sarà una sboretola (lucertola)… comunque entra… ma appena la vede "spèta spèta che scampe"! … e dovette convincerlo… faticare a c… perché lo Grave del Piave… anche qui raccoglievano le vénghe (i vimini)… i vari proprietari, la Piavesella ecc… appaltavano a chi li voleva raccogliere, qui c'era la famiglia De Vecchi, sulla 4, dopo il cimitero… che ci andava, fino agli anni '60…

Alluvioni… nel '66 portò via la stia del porsèo (solo la casetta, non il maiale)… la centrale a Nervesa era tutta allagata…tutto quello che si vede giù dalla nostra terra era sotto acqua… e sulla riva sinistra l'acqua arrivò fino all'asfalto (fino alla strada) … passò il primo argine…

 

Nastro 1994-18                                                                                              Lato A

 

[Breve visita per preparare incontro con Frare], 23 maggio 1994.

(…)

Se c'era emergenza ci chiamavano anche di notte per procurare crode dalla nostra terra… bisognava caricare il camion… si trattava di rocce di 5-6 quintali

(…)

Mi racconta della moglie di Frare che mentre andava a vendere verdura con l'Ape fu investita e uccisa…

Anch’io volli provare ad andare a vendere meloni e angurie col carrettino… ne comprai… ma non riuscii a venderne nessuna… allora mi sono arrabbiato… e assieme alla moglie di Frare abbiamo buttato nel fosso tutti i meloni (dalle parti di Bavaria, Nervesa)…

 

 

mercoledì 13 ottobre 2010

Paolo Sostero, Purgessimo UD

http://Nato il 30 giugno 1910

Nastro 1996/3 - Lato A                                 15 aprile 1996

I soldati venivano qua a riposare [...] restavano quindici venti giorni; si vedono ancora gli spiazzi che avevano preparato per gli attendamenti.
Quel monte che si vede, noi in friulano lo chiamiamo Uispít e ho letto nella storia che quando i longobardi venivano giù gli indicava la pianura, perché prima di venir avanti guardavano, mica andavano a mosca cieca. Uispít vuol dire punta, ma nella mappa viene chiamato Purgessimo.
Sopra al Purgessimo ora c'è il trasmettitore.
Si può salire da quelle case sopra il paese, prima della chiesa c'è un bar da dove parte la stradina a zig zag.
Vicino a Castelmonte, dove c'è il confine, era pieno di trincee. Sono andato a vedere quei posti, in motorino, quando ero più giovane.
Anche qua sopra sul Purgessimo le avevano fatte, e qualcosa si vede ancora [quando] a volte vado a raccogliere quella specie di asparagi selvatici (urtisúi).
Dopo la guerra sono stato consigliere di Purgessimo, per la Democrazia Cristiana. Ma adesso qua sono tutti quanti [della Lega], parlano tutti di Bossi.
[...]
All'epoca della prima guerra ero piccolo, e un giorno sono venuti tanti compressori, cinque sei, guidati da dei civili. Ero là con mio fratello e mi hanno detto: «Aspettate qua, state attenti se viene il nostro comandante e venite a chiamarci», e sono andati a bere mezzo litro di vino.
Poi hanno fatto il ponte. La piana non era come adesso, non era stata bonificata: c'erano tutti appezzamenti, acquitrini, e quando veniva un temporale si vedeva acqua dappertutto perché non c'era deflusso. È stato poi Pelizzo, il sindaco che è diventato anche onorevole, a bonificare. A ricordo gli hanno anche fatto una cappella che c'è ancora là. L'acqua veniva fatta defluire fino al Madriolo, attraverso i campi.
Nei giorni della ritirata gli italiani hanno portato quattro cannoni di grosso calibro, 305: ne ho anche un proiettile a casa, vuoto. Sopra il Purgessimo c'erano i 75.
Alcuni giorni prima [della ritirata] i soldati ad un certo punto erano partiti tutti da qua. «Guarda, non si vede più nessun soldato», diceva la gente meravigliata che veniva a curiosare con i mezzi che c'erano allora, che non c'era neanche la bicicletta. Erano andati via, erano andati tutti a rinforzare le linee.
Da qua i cannoni italiani di grosso calibro sparavano in direzione di Luico e del Matajur. Gli altri hanno risposto ma hanno sbagliato tiro e tutti i proiettili sono finiti nei campi. Hanno fatto dei buchi ma non sono riusciti a prendere i nostri cannoni che erano postati vicino alla bottega di Margutti che vendeva pane (ma all'epoca era dei fratelli Busolini, uno Beppo, uno Antonio e un altro non mi ricordo).
I cannoni erano proprio in centro al paese. Sono venuti una mattina. Noi si andava a scuola: c'era un capannone, non la scuola come c'è adesso che l'hanno fatta nel '35. Eravamo in venti nella mia classe, fra bambini e bambine, in prima elementare. Noi bambini si andava un giorno a scuola e un giorno si andava a cercar carrube (sa che i soldati mangiano carrube), si andava a cercar pagnotte. Poi c'era la cavalleria, i cavalli, c'era un sacco di gente e noi eravamo curiosi di vedere. [...]
In quella casa di Margutti detto Cencic – sono slavi venuti da Montefosca, mi pare – là, in quella zona, avevano fatto un poligono. Tante baracche. Hanno chiamato le donne per portare la polvere, mi pare che poi abbiano anche scioperato. O Dio, ma tante cose non me le ricordo. Facevano dei sacchetti. C'erano tante stoffe e le donne facevano dei sacchetti per mettere questa polvere da sparo per i cannoni. La pallottola poi aveva dentro come delle piastrine, come fossero delle caramelle.
Insomma noi ragazzi si andava a vedere.
Nel 1917 è stata un'annata un pochino scabra [magra] perché c'è stata la siccità, e qua nel Friuli se non piove un mese addio granoturco.
Io e mio fratello si andava a prendere acqua là, dove c'è una sorgiva che noi chiamavamo di Bachetti e adesso chiamano della Madonnina, perché c'è una cappellina dietro quella catasta di legna e adesso ci vanno anche tanti ragazzi a drogarsi e lasciano le siringhe per terra; un'altra sorgiva è la vicina e si chiamava di Quain, è un soprannome locale, poi c'e n'era un'altra ancora. Erano due tre fontane, sorgenti, e le si chiamava come la prima, la seconda, la terza... Poi c'era anche un acquedotto [militare]. Mi ricordo quando hanno portato la tubatura, ma noi l'acqua non l'abbiamo mai bevuta perché la portavano fino a Pavia [di UD].
Dietro la fontana di Bachetti i soldati avevano fatto una buca dove portavano ad abbeverare i cavalli, altrimenti avrebbero dovuto andare sul Natisone. Là c'erano questi depositi di polvere da sparo e qualche giorno prima della ritirata il deposito ha preso fuoco, non so se per una sigaretta o per quale altro motivo.
Quando c'è stata la battaglia [di Caporetto] la gente scappava. Venivano da Castelmonte e da tutte le parti, da Tribil, da tutti quei paesetti e quando arrivavano qua gridavano «scappate, scappate».
Certuni dicevano: «Io non scappo, saranno mica demoni! saranno mica bestie!»
Difatti mio padre e mio fratello sono restati qua, mentre mia mamma con sei di noi altri, tutti bambini – il più grande aveva 14 anni io ne avevo sette – siamo andati via. [...]
Siamo venuti via, abbiamo caricato; mi ricordo che io non trovavo una scarpa, uno zoccolo e così sono scappato con un solo zoccolo ai piedi tic, tac, tic, tac ... abbiamo caricato un camion.
I soldati sono venuti giù, hanno lasciato tutto abbandonato, però sono riusciti a tirare giù i cannoni: mi ricordo che quei cannoni li avevano portati su con i cavalli, ma poi non so come li abbiano portati giù.
Da Purgessimo c'era anche un telefono che andava al corpo d'Armata che era a Spessa o a Corno di Rosazzo, mi pare. Poi c'era un comando di divisione anche in Carraria, qua vicino nella villa di un signore, che noi si chiamava l'Umanitaria (più tardi, al tempo del fascio).
I soldati che venivano giù ci hanno detto «scappiamo». C'era un camion vuoto e vi siamo saliti in quattro cinque famiglie su un unico camion. Mi ricordo che vi era montata una vecchia. Piangeva e teneva in braccio un bambino piccolo di tre anni e mi diceva «stai vicino a me, tieniti alle gonne».
Non siamo andati a Udine direttamente per Moimacco, ma dapprima verso Manzano.
Io non avevo mai visto le lampadine ... vedere una lampadina rossa, una lampadina verde.
La gente veniva dall'alto Friuli, da Gemona. Tutti quanti sapevano. Spingi, spingi.
Ci siamo fermati alla stazione di Udine. Prima ci hanno mandati in prefettura da dove ci hanno detto: «Andate alla stazione, ci sono gli ordini di andare alla stazione.»
C'erano i carabinieri, confusione, scuro. C'era solo qualche lampadina rossa. La gente spingeva, mi sono perso. Mia mamma! piangeva, «dov'è il mio bambino?»
Mi ricordo l'indomani mattina m'ha ritrovato e m'ha fatto sedere sul treno e là sono stato senza mangiare, fino a Bologna.
Nelle stazioni venivano sempre le crocerossine. Davano una scatoletta di carne, o una pagnotta, o qualcosa da bere.
Ma quanta confusione, quanti profughi!
Siamo andati fino a Sessa Aurunca. Mi ricordo che siamo passati per Roma che pioveva e pioveva e in questo vagone, che era stato un pochettino in abbandono, pioveva anche dentro.
Due miei fratelli sono andati dove si appoggiano le valigie e dormivano là. Insomma siamo arrivati fin laggiù.
A Sessa Aurunca si andava a scuola. Noialtri, poiché parlavamo in friulano, la gente ci era un pochettino avversa, ci dicevano «tedeschi».
Eravamo in un castello, e due anni fa sono tornato da quelle parti anche se non sono andato proprio in quel castello.
Era la diocesi più piccola del mondo. [...]
Il Castello era nel centro del paese. Là c'erano le scuole, proprio sul cucuzzolo: c'era una scalinata e si andava su.
Noi però si dormiva dabbasso, in un convento di frati. Sotto c'era anche una centrale elettrica che funzionava non con la dinamo ma scaldando l'acqua, come con una locomotiva. Ottenevano la corrente elettrica con cui facevano illuminare il paese fino a mezzanotte. Era un paese vecchio, con viuzze così.
In questo convento ci avevano preparato bene da dormire, per ogni famiglia, e quando siamo arrivati ci avevano preparato anche un pranzo. Sono venuti a prenderci coi camion a Sparanise, e poi ci hanno fatto una bella festa in una chiesetta antica sconsacrata.
Io riuscivo a capire la loro lingua u napoletano, e anche adesso ... quando qua da noi sentivo i soldati napoletani che parlano con quella enfasi, con quella maniera di esprimersi, mi piaceva sentirli parlare. Il romano no, mi è antipatico, perché non parlano neanche con le labbra, non è vero?
Mi ricordo che si andava a scuola e il mio compagno di banco mi portava sempre una mela.
Un giorno siamo andati a fare una passeggiata col maestro. Eravamo in 28-30 in classe, in seconda elementare, e il maestro aveva detto: «Portate qualcosa da mangiare anche ai profughi», e tutti portavano qualcosa, chi una mela, chi un po' di pane.
Mia madre mi svegliava alla mattina quando dovevo andare a scuola e prima mi diceva: «Vai a prendere il pane». Bisognava andare sul cucuzzolo di questo paese, su per gli scalini. Appena arrivavi là c'era il vigile che ci conosceva e diceva: «Avanti, prima i profughi». Allora c'era sempre qualcuno che protestava: «Accidenti ai profughi, è colpa loro se ci hanno messo la tessera sul pane», come fosse colpa nostra quando in realtà era una cosa nazionale. Dopo portavo a casa il pane e si mangiava quello che c'era.
Comunque non è che si abbia patito la fame, ci si arrangiava.
Eravamo in diversi del nostro paese, tutte famiglie del paese. Eravamo andati giù con i camion e volevamo stare tutti assieme.
Siamo stati là fino in febbraio-marzo del 1918 quando ci hanno detto che chi voleva lavorare, guadagnarsi qualcosa ... perché con il sussidio noi prendevamo una lira e i vecchi due, come si fa a mangiare, vestirsi, con così pochi soldi? ... ci hanno detto che se volevamo lavorare potevamo andare in Lombardia.
Siamo andati a Rezzato, in provincia di Brescia. Il paese è sotto una montagna, ma la ferrovia passa tanto in giù.
Noi bambini si andava a scuola, ma io non sono stato promosso perché sono arrivato in ritardo. Dopo mi è venuta anche la spagnola.
Andavo anche a risponder messa e il prete mi dava una scodella di caffelatte, mi voleva anche bene.
La spagnola per me è consistita in un po' di mal di testa e vomito. Mia mamma a tutti quanti ci ha messo nel letto, ci ha portato del brulè, un po' di vino. Chi andava a badare che il ragazzo non deve bere? e io mi sono poi alzato. Ho visto invece morire un altro ragazzo, che stava davanti a casa mia, figlio unico con il padre al fronte, c'erano la nonna e la mamma con lui. Il ragazzo si è ammalato ed è morto, in due giorni.
Della nostra famiglia non è morto nessuno, anzi, dicevano in paese: «Guarda, i profughi hanno portato il male! di loro non muore nessuno.»
[C'era sempre un po' di diffidenza], come adesso che sono qua i bosgnacchi, oppure i croati, i sloveni, che ancora sussiste una politica di odio e di rancore, che non vogliono pagare i debiti di guerra, le foibe. Potevano ben pensarci prima, ma hanno aspettato che morisse Tito, per risolvere, ma non si risolve più.
A Rezzato, i nostri paesani hanno fatto sapere che volevano mangiare polenta. Il comune ci ha portato una "caldaia" di rame: si comprava la farina e si faceva polenta col radicchio, polenta e salame. Si mangiava con le mani o col pirü come dicevano i lombardi.
A Sessa Aurunca gli abitanti del paese non mangiavano polenta, erano tutti pecorai.
Sono stato poco tempo fa in quel paese, con mio cognato. Il paese è sotto e io gli ho detto andiamo a veder sopra. Ma poi lui non aveva tempo perché voleva tornare a casa in serata.
A Rezzato i grandi li mandavano in una fabbrica di birra che c'è prima di arrivare a Brescia, una di quelle rinomate, e questi ragazzi che avevano finito la quinta elementare andavano a lavorare, per due lire al giorno.

Nastro 1996/3 - Lato B

Di Sessa Aurunca nel complesso il ricordo è positivo. Era buona gente ... poi c'è sempre l'ostile. Hanno detto quelle donne, anche un prete ha detto: «Potevate stare nei vostri paesi.»
A Sessa Aurunca eravamo in sei famiglie di Purgessimo, quelli che erano stati caricati sul camion, sull'unico camion. Eravamo sempre stati assieme. Erano i camion 15 Ter della Fiat, con le gomme piene. Era un camion grande, ci stavano tante persone.
Dopo la guerra 15-18, nella guerra successiva, io ero soldato a Sassari e li avevamo ancora in dotazione nella nostra compagnia.
[Nel camion 15 Ter] ci eravamo stati stretti stretti, in piedi. Arrangiarsi.
Non ci siamo portati via niente da casa. solo un po' di roba da vestire. Qualcuno è riuscito a portarsi un paio di lenzuola, un ricambio di biancheria, un po' di soldi o qualche ricordo caro.
A Rezzato, c'era con noi il marito di una sorella di mia madre, ed eravamo solo in nove. C'era un ragazzo che era andato a lavorare in una fattoria, là a Rezzato.
[...]
Siamo ritornati a casa nel mese di marzo del 1919, e in una casa qua nel centro del paese c'erano una trentina di prigionieri austriaci e ungheresi, tutti insieme.
Ai prigionieri hanno fatto esumare i soldati italiani che erano morti sulla collina durante la ritirata: erano 11 casse.
Durante la ritirata [i soldati italiani] erano arrivati non da Stupizza, ma attraverso le montagne [...] i nostri non sapevano neanche le strade.
Me l'ha raccontato mio padre che aveva voluto rimanere in paese, cosa è successo quella volta. A tutte quelle baracche gli italiani in fuga hanno dato fuoco, mio padre è andato là e ha portato via quattro lamiere che abbiamo ancora.
C'era un lanciafiamme, e c'era anche una scuola di lanciafiamme qua a Purgessimo; mi ricordo che si era ragazzi e si andava a vedere.
Mio padre diceva che i soldati sono venuti giù... Un italiano è stato colpito. È rimasto là a terra per due giorni e chiamava «aiuto!», ma nessuno aveva coraggio di andarlo a prendere, per paura che ci fosse una spia o qualcuno di guardia e così è morto. Gli hanno messo una croce, che c'era ancora là nel '19. L'hanno sotterrato proprio là, dove c'è quella catasta di legna vicino alla fontana della Madonna.
Lassù sulla montagna invece erano in undici, i morti. Erano su per la montagna, si vedeva la croce. Quando li hanno raccolti li hanno portati un po' nel cimitero di Cividale e un po' in quello di Udine.
A mio padre i tedeschi che stavano scendendo dietro alla gran massa degli italiani hanno chiesto:
«Dove sono gli italiani? Dove sono?»
«Eh, sono giù di là», indicando Cividale, e l'hanno lasciato andare.
Mio padre, Antonio, era del '62 del secolo scorso.
Mio padre aveva voluto restare a casa assieme al figlio (Antonio anche quello, classe 1904). Ha seguito per un po' la gran massa che scappava ma poi è tornato subito indietro, perché aveva le mucche, a casa.
C'era una croce [sepoltura] anche giù di qua, appena fuori del paese, poi ce n'erano altre due [...] sulla strada.
Dice mio padre che ha visto la truppa austriaca venire avanti: è venuto giù anche il comandante a cavallo e c'era un soldato italiano davanti a loro che correva e correva, ma a Cividale avevano fatto saltare mezzo ponte. Il soldato non riusciva a passare, ogni tanto veniva fuori per vedere se riusciva a trovare la strada per passare ... e in quello un tedesco gli ha mirato e lo ha fatto fuori. L'ufficiale ha estratto la pistola e ha ammazzato il soldato che aveva ucciso l'italiano.
[...]
Durante l'anno di occupazione, a Cividale c'era un monsignore decano, si chiamava Liva e lui sapeva il tedesco. È venuto come a patrocinare gli interessi dei parrocchiani, a dirimere le questioni, anche le ruberie, perché c'erano anche dei borghesi che andavano nella casa del confinante.
Mio padre che aveva un dieci dodici pezzi tra pentole e rami vari, li ha sotterrati, perché il rame era ricercato per le spolette delle bombe. Ma andavano a vedere dove la terra era mossa: erano i borghesi, i friulani stessi, gente del paese. Se non era di questo paese era di un paese vicino, oppure era gente che era scappata, disertori, gente che si nascondeva e che si metteva in combutta con questi civili perché avevano bisogno di soldi.
Mo padre aveva una mucca e ha sempre fatto il vitello. Faceva 24 litri di latte quando era fresca di parto, per due-tre mesi; dopo ne faceva dieci, undici. L'ha tenuta per tanti anni che era venuta tanto vecchia questa bestia. L'ha presa e l'ha portata dove ci sono quelle rocce là, sulla montagna, ma erano quelli del paese, che venivano a vedere e ti facevano la spia e [volevano soldi] «altrimenti ti denuncio.»
C'erano delle commissioni per la distribuzione, come poi al tempo dei partigiani, e se c'era qualcuno che aveva odio contro di te ... senza sapere perché e per cosa ti ammazzavano.
La gente dava un milione di corone per avere un litro di latte. Erano soldi grandi come fazzoletti. Mio padre un giorno ha detto «ma cosa vuoi fare di queste qua», ha preso le corone e le ha buttate sul fuoco. Tutti si sono scandalizzati: «Oh, Antonio "soci" - che vuol dire cieco, il soprannome - Antonio ha bruciato i soldi, che ricco che è». Ma poi quando era andato a fare il cambio non gli hanno dato niente. Vai, vai, gli hanno detto.
È venuto su uno giovane, un disertore che non era riuscito a passare il Piave. Con lui erano altri due e sono rimasti nascosti a casa. Mio padre li guardava e appena finita la guerra sono tornati a casa. Uno era di San Donà di Piave, giù di là. Io non li ho visti, perché quando sono tornato da profugo erano già partiti. C'erano delle spie, gente invidiosa [...] e sono venuti i soldati tedeschi con la baionetta in canna a cercarli, ma mai sono stati scoperti.
Degli altri due disertori, uno era originario di Mantova, proveniva da un ospedale militare perché aveva preso la sifilide e poi è morto.
Dicono poi, così raccontavano i vecchi, che c'era un comando di divisione che aveva la cassaforte, durante la ritirata. Da quella casa che si vede là davanti, sulla collina, sono venuti giù con il mulo portando la cassaforte del reggimento. Ora è un'osteria, da Mosolo; la chiamavano l'osteria a Mezzastrada, nei pellegrinaggi per Castelmonte. Là si dice che gli italiani abbiano lasciato la cassaforte. L'hanno sotterrata con l'accordo che quando sarebbero tornati avrebbero diviso il capitale, perché la chiave l'avevano portata via con sé i militari. Sono tornati poi i militari, ma dov'era la cassaforte? Quello dell'osteria gli ha detto: «Io non vi conosco, io non so niente». Da quella volta l'osteria ha cominciato a marciare bene, la casa è stata aggiustata, hanno messo a posto bene il tutto, e la gente di queste cose si è accorta...
Il paese di Purgessimo non è stato né bombardato né rovinato; aveva preso fuoco appena qualcosa... Quando da Luico sparavano di qua, tutti i proiettili sono andati nel terreno paludoso, c'erano un mucchio di buche.
Durante l'anno dell'occupazione c'era molta miseria. Morire di fame no, ma miseria sì. [...]
Quando siamo tornati, nel 1919 al mese di marzo, non siamo neanche andati a scuola perché avevano bombardato la scuola perché là dentro ci avevano messo un magazzino di bombe. Nel resto del paese era solo stato bruciato qualche fienile.
Questo monsignor Liva aveva la funzione di paciere. Più di una volta a mio padre diceva: «Se non porti il latte all'ospedale ti denuncio alle autorità tedesche, ti faccio mettere nel concentramento». Mio padre gli rispondeva: «Ma se non ne ho». Perché la mucca fa latte quei tre quattro mesi ma dopo non ne fa più, eh! E se fa un litro di latte dobbiamo pur mangiare anche noi. [...]
Ognuno cercava di arrangiarsi. Vicino a noi un uomo aveva undici mucche. Ognuno che veniva, tagliava la catena e si portava via la mucca. Non era tanto il tedesco che rubava, ma la gente del luogo che poi ti vendeva la carne al mercato nero, come è stato anche in questa guerra qua.
In quei giorni della ritirata di Caporetto è stata una baraonda, saranno restate qua in paese neppure ottanta persone, su duecento scarsi che erano. [...]
C'erano tante di quelle armi! Dio quante armi che c'erano! Munizioni da tutte le parti. In un posto poi le hanno fatte saltare, nel 20-21. Noialtri ragazzi si andava a vedere, le si trovava lungo i fossi, si avvisava la maestra e la maestra avvisava i carabinieri. C'erano quelle bombe con il manico che chiamavano "le signorine", oppure quelle altre che chiamavano "sipe". [...]
Il parroco di Purgessimo era scappato [...] Tanti qua del paese sono scappati anche con i buoi. Caricavano sul carro il maiale, e dicevano che poi per strada lo avrebbero ammazzato.
All'inizio in paese e dappertutto c'è stato un gran spreco e poi, dopo la prima fase, sono venute le truppe di stanza che non trovavano più niente ed erano inferociti.
Mi raccontava un vecchio che abitava nel mio cortile che il 1917 era stata una buona annata di vino. Non era Tocai o Verduzzo, quella volta. Era Malvasia, vino americano, ma allora bastava far vino, nero o bianco che fosse. Sono venuti giù i tedeschi e tam, tam, tam nelle botti: fuori il vino a volontà. Dapprima facevano bere il padrone, e diceva questo vecchio che in cantina c'era vino per terra alto fino al ginocchio.
Qualcuno aveva il maiale che ormai era quasi pronto. Mio zio che aveva il porcile proprio a portata di mano, là sulla porta di casa, si è visto tirar fuori il maiale e squartarlo. Lo facevano cuocere, mangiavano e bevevano e poi molti morivano, perché anche per loro erano mesi che stentavano in linea, lassù. Dopo davano la colpa ai paesani e volevano bruciare il paese...
Quando abbiamo dovuto scappare [...] qualcuno ha detto di essere andato fino a Manzano, qualcuno un pochino più in giù fino a Basagliapenta, Codroipo, ma poi sono tornati a casa con le pive nel sacco, senza riuscire a passare il Tagliamento.
[...] In principio, appena dichiarato guerra, ce n'era della roba! [...] A Sanguarzo c'era una fila di forni e facevano pane per tutti, ma montagne di pane.