domenica 23 maggio 2010

Romolo Corrà (Vas) e Zemira Curto (Càrpen) - BL

Coniugi, nati rispettivamente il 19 aprile 1905 e il 13 settembre 1908

Nastro 1994/33 - Lato A                  24 agosto 1994

Romolo Corrà. Io sono scappato prima che arrivassero i tedeschi. L'ultimo che è scappato dal paese è stato della nostra famiglia e quando siamo arrivati di là del ponte hanno fatto saltare gli archi.
All'epoca ero bocia, avevo 10-11 anni e mi viene in mente che il pensiero più grande che avevo in quel momento ... qua, durante l'estate, la montagna offre tante nocciole, e si mettevano via su un sacchettino di carta. Mia mamma e anche gli altri gli facevano i buchetti tutt'attorno con la forbice in modo che le nocciole prendessero aria. Io mi sono portato via un sacchetto di nocciole e mi pareva di essermi portato dietro un capitale... 
Mio padre invece aveva passione di allevare il maiale: l'ha legato con una cordicella e siamo andati fino a Quero. Quando vi siamo arrivati un suo parente che era farmacista gli dice: «Toni, fatu che col porzel? Guarda che l'ultimo treno è giù a Fener, e non è un treno passeggeri ma un treno merci. Se vuoi andar giù - poi sono scappati anche loro - fai a tempo di prenderlo, ma devi partire subito».
Così mio padre ha lasciato libero il maiale, che andasse per conto suo. Il farmacista si chiamava Corradino Corrà. Mio padre faceva il falegname.
Qua a Vas c'era una cartiera, l'unica che c'era in provincia di Belluno. Adesso è diventata una pescheria [allevamento di pesce] ... dopo l'ultima guerra era stata amministrata da uno che non sapeva fare e ha dovuto chiuderla. Si chiamava Zuliani.
Anche durante la prima guerra la cartiera funzionava. Vas infatti non è stata bombardata: una granata - due e basta.
C'era una chiesetta dove una volta c'era il cimitero, con il suo piccolo campanile che non funzionava però. [...]
Passati di là del ponte siamo andati a Fener. Siamo saliti sul treno merci e siamo arrivati a Padova dove hanno fatto lo smistamento. Il treno era pieno, tutto carico di gente che era saltata su per scappare e venir giù ... da su di là, da tutte le parti.
Da Padova siamo andati a Milano e da Milano ci hanno traslocato a Magenta, 25 - 26 chilometri più in là di Milano, vicino al Naviglio; c'è Ponte Nuovo e Ponte Vecchio, come li chiamavano allora. Il Naviglio ha una strada di fianco, dove passavano i buoi che trainavano i barconi; alla discesa salivano in barca anche i buoi, e per tornare indietro i buoi smontavano e tiravano su la barca.
Io ho trovato lavoro a Varese nell'impresa Macchi. All'epoca assumevano tutti, anche se io avevo solo 12-13 anni ... che non c'erano più uomini! 
Alla Macchi facevano gli idrovolanti, perché a Varese c'è un laghetto - a Varese è nato anche Pininfarina - e là lavoravano anche all'interno dei vagoni di prima classe.
A noi boce ci facevano fare di tutto, ma mi ricordo che a me piaceva tanto - siccome facevano anche le ruote delle biciclette in legno - ... c'era da arrotolare sulle sagome quel determinato legno con cui veniva fatto il cerchio; non so che tipo di legno fosse. Altre volte invece lavoravo dentro a un vagone, a grattare, a tirar via. D'altra parte tutta la mia famiglia lavorava il legno, prima di partire. Avevamo un grande stanzone a piano terra dove si lavorava tutti; c'era anche mio fratello che era bravo.
A Quero avevamo dei parenti, tre fratelli di mio papà, che erano meccanici. 
La nostra era una delle famiglie più ricche del paese. Mio padre quando è venuto  in paese ha iniziato a vivere in un pezzetto della casa qua di fronte, una casetta.  Poi lavorava alla cartiera e in più di notte lavorava magari fino alle tre per conto suo e poi ritornava a lavorare in cartiera. In questa maniera si è costruito ... [il resto della casa che ora si vede] mentre all'epoca non c'era neppure da mangiare polenta.
Mia mamma gli diceva: «Procurami un po' di farina», e non ce n'era, e non perché ci fossero le sanzioni, mancava proprio ... tanto è vero che una volta una vecchietta [in un negozio] ha chiesto due etti di zucchero e la padrona le ha risposto: «Ma devi fare la polenta che prendi due etti di zucchero?»
Sul Monfenera c'erano già le trincee preparate da due tre anni prima, come seconda linea, così i tedeschi sono arrivati come base a Feltre perché sul Grappa non erano in grado di sfondare.
Tedeschi a Feltre sì che ce n'erano tanti, ma qua c'era solo la Poliziei ... e a Vas erano scappati tutti. Noi di là del Piave; gli altri su di là, nei paesetti e in provincia di Udine, a Gemona, a Sequals.
Anche mia moglie è stata profuga, ma sopra Pedavena, a Murle.
Solo noi Corrà e un'altra famiglia del paese siamo riusciti ad andar di là del Piave, e anche quella famiglia era con noi a Magenta.
Le nocciole, saltando sul vagone, che era merci ... ho toccato da qualche parte e ho rotto il sacchetto e ti saluto le nocciole! Mi sono messo a piangere, non c'è mica da scherzare con le nosèle.
Mio zio Giovanni Vecellio era ingegnere, e abitava qua, aveva sposato una sorella di mia madre. Lui era un discendente del ceppo di Tiziano e poi è andato alla Pirelli. Ed è stato questo zio ingegnere a darci lo spunto, a convincerci e a dire 'ndém via.
I tedeschi, dopo, qua in paese hanno fatto sempre fuoco, tirando giù i balconi, la porta, tutto. È rimasto il paese vuoto, tutto "pelato"; però bombe non ne sono arrivate, se non una sola, laggiù nel cimitero.
Un capitano dell'artiglieria alpina, l'avv. Banchieri, mezzo parente dei Corrà, è arrivato fin sul Monfenera con 7-8 artiglieri. Si è fermato e sparava in direzione del castello di Quero, laggiù. È stato lui a fare resistenza contro i tedeschi per due tre giorni e dopo, gli ultimi due colpi li ha tirati qua sulla chiesetta di Vas...
Molti sono morti di spagnola, e anche a me è morto il fratello, da profugo. Per il resto noi stavamo bene, perché si andava a lavorare e si comprava da mangiare con la tessera.
Sulle nostre montagne c'erano dei soldati italiani, parenti della moglie, rimasti di qua delle linee.

Zemira Curto. Appena sono arrivati nel nostro paese, Càrpen in comune di Quero, io avevo 9 anni. Hanno cominciato i germanici ad ammazzare le bestie, a mollar fuori le spine dei vini che correvano per tutte le strade. Invece di far fuoco con la legna spaccavano la tavola, spaccavano le credenze, facevano il terrore dentro le porte. Questo me lo ricordo benissimo.
Mio padre, era in guerra e mi ha detto [?]: «Atenti cari, tolève su solo i fasoi che i fasoi i dura tant» ... e siamo andati a finire a Pedavena, in un paesino là vicino, a Murle.
Le granate arrivavano fin qua a Castelnovo di Quero, ed è capitato il momento che abbiamo dovuto scappare e lasciare là bestie, casa e tutto. E via, siamo andati profughi.
Vicino alla casa in cui eravamo profughi c'era uno spazio di un centinaio di metri ricoperto di erba, ma l'erba è rimasta sempre piccola perché l'abbiamo mangiata tutta e non faceva in tempo a crescere. La tagliavamo e la cucinavamo... Poi ci avevano dato anche un pochettino di campo perché mia madre aveva cinque figli, e andava a Feltre ogni giorno. Siccome ci avevano lasciato anche una bestia, una vacca, [mia madre] portava un fiasco di latte [a Feltre] facendo otto chilometri all'andata e otto al ritorno; in cambio portava a casa un paneto de pan nero. Così abbiamo passato un anno.
Quando c'è stata la liberazione, i tedeschi che erano qua, non volevano arrendersi, e mia madre era tutta spasemàda con tutte queste creature. È andata al molino che c'è ancora vicino alla chiesa di Pedavena, ed è riuscita ad avere un chilo di farina. Ha detto ai figli: «State buoni che per oggi facciamo un po' di polenta e il resto della farina la mettiamo via per buttare sulla minestrina di erba». È venuto dentro un tedesco con la rivoltella in mano, mi pare ancora di vederlo, e si è preso la polentina. Ci siamo messi tutti a piangere, tutti cinque i bambini, a piangere dalla disperazione. La fame fa così. E pensare che per un chilo di farina aveva dato la vera, l'anello e una collana [di oro]!
Un'altra volta, due miei zii che si chiamano uno Angelo e l'altro Luigi Mondin (e sono ancora vivi, classe 1902) si erano nascosti perché se i tedeschi li avessero presi li avrebbero portati in Russia. Loro avevano il terrore di essere portati via, e quando un gruppo di tedeschi è venuto in casa nostra a cercarli, io senza parlare - c'era una finestrella bassa nella casa dove noi si abitava - sono saltata fuori dalla finestra e di corsa, di corsa, sono andata avvertire gli zii di scappare subito. Qualche tempo fa sono andata su in questa montagna, il Ciladon, dove ancora abitano questi miei zii e loro mi hanno ricordato l'episodio ... e là sono riusciti a rimanere nascosti per tutto l'anno.
A Vas gli abitanti sono andati tutti de strassinón, ma più che sia sono andati in provincia di Udine.
Quando mio padre è arrivato dal fronte ... è arrivato a Feltre il giorno dopo l'armistizio. Lui aveva sempre fatto il macellaio, e quando ha visto che ormai poteva passare perché i tedeschi si erano ritirati...

Nastro 1994/33 - Lato B

... è arrivato a casa passando per il Grappa e ci ha detto: «Sono qua, stanco, perché ho camminato in montagna tutta la notte sopra i morti, nel "pozzo della morte", e là c'è ancora gente ferita che grida e chiama mamma.»
Quando mio papà è arrivato noi eravamo tutti ammalati, con la febbre spagnola che provocava tantissimi morti. Erano solo due tre giorni che erano scappati i tedeschi, e sulla nostra porta erano già morte due sorelle, una di diciotto e una di quindici anni. Mio papà è arrivato verso le tre di notte, con una mula e col suo carretto con gli attrezzi dietro perché anche sotto le armi lui era macellaio. Ci ha tirato fuori cognac, formaggio grana, pane, un mucchio di roba perché sapeva che qua si moriva da fame. [...] Eravamo tutti ammalati con febbre alta. «Ascoltami» ha detto a mia mamma «diamogli un po' di cognac ciascuno, un pochino, perché anche da noi il capitano ci ha sempre detto che la febbre scompare con il cognac». Ce l'ha dato e non siamo guariti per davvero!

Romolo Corrà. Io ero a Magenta, e c'era la spagnola. A me è morto il fratello, poverino, che era più debole. Un particolare: di notte, il più vecchio dei due fratelli, Tarcisio (1901) che dopo è morto qua in cartiera ... si era sul letto e mi ha detto: «Romolo, prendi quella bottiglia là in fondo» (era sopra una semplice cassa) «e dammela.» Io gliel'ho portata e lui si è messo a berla, e si è fatto mezza balla. Io gli ho detto: «Adesso dalla a me», e ho finito il resto. Il giorno dopo verso mezzogiorno: sparita la febbre e guariti tutti e due. L'altro fratello invece, che non ha potuto bere, gli è toccato cedere. Si chiamava Secondo ed era del Tre. [1903] [...]

Romolo Corrà. Non che gli austriaci fossero cattivi, hanno un altro cuore. I germanici, la stessa razza di quelli di Hitler, erano i peggiori ... e gli hanno portato via la polentina che stavano già per gustare.
Gli austriaci non avevano più niente da mangiare. Mangiavano prugne cotte, carote cotte, verdura e tutte quelle robe là. 
Curto. Come la popolazione... E quelli che dovevano andare al fronte li ubriacavano e poi tornavano indietro come morti, sembravano trasparenti dai patimenti.
Corrà. Io non ero qua, ma questa è una voce che sanno tutti. I tedeschi quando sono venuti giù, secondo loro dovevano sfondare sul Grappa... 
La parte di qua davanti alle Boccarole dove c'erano le mitragliatrici, la chiamavano il "pozzo della morte", perché i (capi) tedeschi, sebbene sapessero che gli italiani li avrebbero ammazzati, facevano avanzare allo scoperto i loro soldati sotto il fuoco delle mitragliatrici.
I tedeschi ad un certo punto avevano deciso di lasciarsi ammazzare a Feltre, piuttosto che andare sul Grappa. Allora i capi per convincerli dicevano ai soldati che sarebbero andati sul monte Fiore, perché altrimenti sul Grappa non sarebbero andati.
Curto. I tedeschi dicevano Nach Roma, Nach Roma...
Corrà [riferendosi alla famiglia della moglie]: Era una delle famiglie più agiate di tutti i paesi da Feltre fino a Montebelluna, perché suo padre aveva sempre in casa, continuamente, 40 bestie.
All'epoca della seconda guerra c'erano i partigiani ... che li hanno dichiarati - a dirselo qua - combattenti, patrioti. Se invece proprio proprio volete sapere la verità e uno ha il coraggio di dirlo, erano una manica di delinquenti. Non tutti, ma dentro, in mezzo... Non hanno mai fatto niente; sul Grappa hanno fatto che? Niente. A quel tempo c'erano i casolari sparsi, non c'erano le latterie che ci sono adesso, i contadini andavano d'estate in montagna per risparmiare il fieno che serviva per l'inverno. E i partigiani che erano in montagna andavano da una casera all'altra: «dovete darmi un po' di burro, dovete darmi una pezzatella di formaggio... ». Se c'era una bestia che aveva fatto un vitello glielo portavano via, e se proprio proprio non trovavano niente gli portavano via anche le vacche.
Curto. Nella mia famiglia eravamo in tutto cinque fratelli. Uno dei miei fratelli era a Torino del Genio. Mio padre era padrone di quasi tutto il Ciladon, la montagna dietro alla quale c'è Schievenin.
Corrà. Una volta una carogna di fascista ... io sono stato segretario dei giovani fascisti del paese ... c'era una guardia a Feltre che una volta è venuta giù da Feltre in bicicletta. Arrivata a Sanzan, c'era un fratello della moglie là in una casa, e sono arrivati dei partigiani che erano su sul Ciladon... [ ? ]

Nastro 1994/35 - Lato B

Aggiunte e precisazioni, 16 settembre 1994

Corrà. Mia mamma era Alban Speranza e Corrà Antonio mio papà. Hanno avuto 5 maschi e 1 femmina, più una morta piccola. (7 figli).
Mia moglie si chiama Zemira Curto, è nata il 13-9-1908 da Giuseppe Curto e Mondin Maria. Lui era commerciante, uno dei più benestanti della zona. Aveva 40 vacche tutto il tempo dell'anno.
Noi due ci siamo sposati nel 1931 e abbiamo avuto tre figli, due femmine e un maschio.
Quando siamo scappati da Vas ci siamo portati dietro il maiale ... era l'ultimo treno da trasporto, portava tavole di legname ed era partito da Calalzo. Era fermo a Fener, ed è stato l'ultimo treno a passare. Eravamo a Quero e a piedi siamo andati a prendere il treno a Fener. [A un certo punto] mio papà si è stufato di portarsi dietro il maiale, lo ha lasciato libero e siamo saliti sul treno. Fino a Padova siamo andati con quel treno, e da Padova ci hanno smistato e siamo andati prima a Milano e poi a Magenta. Là sono andato a lavorare prima alla De Medici che lavorava solo fiammiferi e poi alla Macchi di Varese.

Nastro 1994/35 - Lato A

Durante la prima guerra a Vas il paese più che essere stato distrutto dalle bombe è stato svuotato dai tedeschi, che hanno utilizzato tutto il legname delle case.
Non era questa la prima linea. I tedeschi erano sul Monte Tomba e sul Monfenera.
Io sono scappato perché avevo uno zio che era ingegnere e lui vedeva le robe prima di noi [...] era un certo Vecellio dal Cadore, discendente del pittore. Lui era partito ancora prima, e noi l'abbiamo seguito. Ma tutti non credevano; solo dopo, quando hanno visto il ponte che era saltato... 
All'epoca non c'erano l'irrigazione e le prese d'acqua del Piave per l'elettricità; il Piave veniva tutto di qua ed era quasi sempre in piena. Era grande ... e i tedeschi non riuscivano a passarlo [...]. 
Il Grappa ad un certo punto ha cambiato di nome, perché i tedeschi altrimenti non andavano più su. Si facevano ammazzare a Feltre ma non partivano per il Grappa. Questa era una voce comune, tutti lo sapevano, mia moglie che era a Feltre me lo conferma: lo chiamavano il Monte Fiore. Facevano credere alle nuove truppe che arrivavano fresche che sarebbero andate sul Monte Fiore, perché sapevano che quelli che andavano sul Grappa non tornavano più indietro. Difatti sul Grappa vicino al Forcelletto - un posto che è molto conosciuto - c'è un bel albergo, e là si vede il col del Grappa e c'è la galleria con le mitraglie (otto-dieci bocche) che sparavano verso giù e i tedeschi volevano sfondare. Quella vallata era fatta a conca - dove mia moglie ha detto che suo padre appena ha sentito dire che i tedeschi erano in rotta ha caricato il mulo ed è andato a trovare i parenti camminando per un'ora sopra i morti - e quel posto là, insomma, lo chiamavano il pozzo della morte: ecco perché i tedeschi non vi volevano più andare. Ed erano tutti austriaci, non i germanici.
Io dopo la guerra sono stato là un anno a lavorare, durante le sanzioni e l'ultima guerra. I treni andavano a carbone di legname, e io ero lassù col camion, un po' prima della cima del Grappa, dove c'era ancora legna, perché sulla cima del Grappa c'è solo roccia. C'erano venti trenta famiglie dei paesetti della zona che tagliavano legna, e io e altri due si portava il legname alla stazione di Feltre, e quello serviva alle forze armate per andare avanti.
Zemira Curto. Mangiavamo talmente tanta erba che l'erba non riusciva a crescere. I tedeschi mangiavano erba e susini e avevano cognac da bere. Dell'erba, mangiavano le ortiche, e le più buone ... che mangiare non ne avevano neppure loro. L'erba veniva cucinata.
Là vicino, a Pedavena, tornavano indietro i soldati, i tedeschi, i romeni, i bulgari ... ma trovavano da mangiare solo carote e susine. Tornavano indietro tutti ammalati dal fronte, e i soldati chiedevano ai bambini se avevano pane e noi dicevamo di no.
Mangiare non ce n'era per nessuno. I tedeschi mangiavano sempre carote e susine e alle volte tiravano su le pannocchie e le mangiavano così, crude.
Distruttori proprio erano i germanici, non gli austriaci. Anche adesso i tedeschi sono cattivi, è una razza così: è meglio l'Austria. Però sono giusti (i tedeschi).
Anche la prima ondata di tedeschi che sono arrivati qua fino al castello ... loro entravano nelle case e se c'erano le botti di vino, pum, una pacca spaccano le botti e lasciano che il vino corra per la strada. Davanti, i distruttori erano loro, i tedeschi. E poi: "Nach Roma" ... e invece non ci sono arrivati.

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