martedì 12 ottobre 2010

Oreste Simonella, Chiarano TV

Nato nel 1911

L'intervista è stata registrata nell'abitazione del testimone, a San Stino di Livenza, durante un incontro fra amici organizzato da Giuseppe Gasparini (San Donà di Piave).

Nastro 1986/3 - Lato A    (da 06:20 a 25:29)                               19 gennaio 1986

Abitavamo a Chiarano e si era la prima casa dopo il fronte. Davanti a noi erano spariti tutti, profughi.
Da noi c'era il comando tedesco e saranno stati in cinquanta.
I tedeschi non volevano vedere ragazzini in casa, perché disturbavano e via discorrendo.
Mi ricordo che si aveva un barco dove mettevamo il foraggio, e si era in ventotto bambini sotto questo barco. Quando gli italiani l'hanno scoperto - perché più degli italiani non sono stati - hanno iniziato a bombardare. La prima bomba è caduta sul barco. Per fortuna ha battuto sul filo di ferro sovrastante. È esplosa in aria e non c'è stato neanche un ferito, ma noi bambini siamo scappati tutti.
Davanti alla nostra casa i tedeschi avevano piantato dei palloni [aerostatici] e mettevano delle rame [rami, frasche] perché gli italiani non vedessero.
Poco prima dell'offensiva [sul Piave, giugno 1918 - battaglia "del Solstizio"] i tedeschi sono stati otto giorni con i cavalli attaccati e con i carreggi pronti. Dovevano andare sul Piave, e sono andati sul Piave e là sono restati tutti. Alcuni di quelli che erano da noi sono tornati indietro e dicevano «mama tuti kaputt». Voleva dire che li avevano ammazzati tutti.
[Durante l'occupazione] siamo sempre rimasti a Chiarano. Andavamo in cerca di mangiare, che mangiare non ce n'era e mi ricordo che mi sono gonfiato le gambe ad andare "a carità". Si andava a carità di patate, di quello che si trovava. [...]
Si avevano 40 capi di bestiame e ce li hanno portati via tutti. Ci hanno lasciato solo due vacchette. [...]
Sono arrivati a San Martino.
C'erano i maiali nel porcile. Li ammazzavano e gli bruciavano il pelo con la paglia. Le interiora e tutta quella roba là la buttavano via e noi la si andava a prender su per mangiarla.
Il granoturco e le pannocchie distrutte tutte. Distrutti tutti i raccolti.
La cantina era piena di vino. "Bottoni" da venticinque [ettolitri]: gli sparavano con il fucile e a forza di bere si sono ubriacati. 
Su tutte le nostre cantine c'era una vasca che, se la botte spandeva, recuperava il vino. Si sono ubriacati, sono andati nella vasca e sono morti. Quattro di loro, quattro tedeschi, annegati; ubriachi che erano, morti tutti, annegati.
Il povero Carlo Sessolo, che abitava vicino a noi – era lui e la moglie con tre figlie piccole – i tedeschi ... i ongaresi [ungheresi], sono andati là. Hanno acceso il fuoco e hanno messo su una calièra de aqua. Quando sono andati per ammazzare il maiale, Carlo è saltato fuori con la forca. Sai cosa hanno fatto? Lo hanno preso e lo hanno piantato dentro alla caliera bollente. Il maiale gliel'hanno lasciato e sua moglie avendo visto questo "specchio" è rimasta sabóta [balbuziente]. Non parlava più.
Il povero Ernesto Simonella, che sarebbe stato mio zio ... si aveva un poco di pollame e si aveva un barco. Tutto questo pollame lo avevamo messo sopra il barco. I ongaresi, i tedeschi, i vol ndàrghe ciavàr e gaìne [vogliono andargli rubare le galline]. Lui corre fuori con la forca e se non scappa in camera nostra – che era una stanza nascosta – e non va sotto il letto, dio c. i o copa anca lù.
[...] Eravamo quaranta persone. Si aveva un muss [asino] e andavamo giù alle Basse a carità. Tornavamo a casa con due tre zucche e ... prova a mangiare polenta e sorgo, come l'ho mangiata io ... se te caghi altro! Poenta e sorgo o pestarèi de zuca con a poenta e 'na presa de sorgo.
D. Come sarebbero stati questi pestarei?
R. La zucca la si puliva e si faceva fuoco. La si faceva chiara come quando si pestano i fagioli e poi gli butti la pasta. Noi si faceva così, tutto per farne di più, perché si era in quaranta, mica uno, eh! Si buttava dentro la farina di sorgo macinata con un macinino a mano, sorgo di quello rosso [saggina], quello da scoati [scopini da secchiaio].
Si mangiava un pasto al giorno di quella, e al gabinetto non andavi più. Potevi affittarlo!
[...] Una volta i tedeschi ci hanno preso tutti e ci hanno chiuso su una stanza, da un'altra famiglia. Aspettavano ordini se avevano da ammazzarci tutti o lasciarci liberi. Hanno aspettato e siamo rimasti chiusi un giorno e una notte. Anch'io, tutti. C'erano donne e bambini. Tutti chiusi. Dopo una giornata e mezza ci hanno lasciati liberi.
Con le femmine [donne adulte] loro "no i se intrigava"; con le ragazze, piuttosto. Le ragazze dovevano star nascoste.
Ma più che ... non era proprio il vero tedesco, era l'ongarese el cancaro pi gross.
[...]
Dopo, aspetta, è scoppiato il colera.
D. Colera o spagnola?
R. No, colera, gli si diceva noi. E andavano nel lazzaretto, nel bosco di San Marco.
Erano rimasti senza mangiare e mangiavano pannocchie crude, cani, gatti.
Eh! Lo sai che hanno perso la guerra perché non avevano più niente da mangiare?
E mangiando queste robe è scoppiato il colera.
A noi borghesi, sebbene si mangiasse male, non ci è successo niente ... ma a loro, cara mariavergine, il lazzaretto del bosc de Cessalto [in realtà il testimone si riferisce all'ex "bosco di San Marco" che sorgeva in località Santa Maria di Campagna, al confine fra Chiarano e Cessalto] ... era pieno pieno, perché li portavano tutti là per l'infezione del colera.
D. Lei l'ha visto il lazzaretto? Come era fatto?
R. Eh, porco diose! Il lazzaretto era formato come un ospedale. Aveva due saloni, uno a destra e uno a sinistra dell'entrata e dopo c'era l'ambulatorio dei dottori.
Dottori là non ne dormivano, andavano una volta al giorno a visitarli.
In testa ai due saloni c'erano i gabinetti. Era come un ospedale, né più né meno.
Domanda di un ascoltatore. C'era qualcuno che si salvava?
R. Ehi! Non ne ho mai visto neanche uno. Morivano, e dopo andavano a seppellirli sui cimiteri di qua e di là.
Il colera era dal mangiare male, mangiavano pannocchie crude. 
Sai le pannocchie quando sono "mezzo grano"? Loro mangiavano di quelle là con un po' di zucchero, roba così; si vede che non erano abituati, più il caldo che c'era...
Di civili neanche uno dentro a quell'ospedaletto. Tutti tedeschi.
Noi abbiamo patito tanta fame, mangiato polenta di sorgo, quella sì, ma noi si era in casa, si avevano due vacche nascoste, si mangiava qualcosa.
I tedeschi sapevano che avevamo le due vacche ma lasciavano stare. Vedevano che eravamo in tanti: si era ventisette bambini, mica uno. C'erano sette spose che pompavano!
Gli facevano pecà [pena] questi figli e allora ti lasciavano le due vacche.
*
La nostra casa si trovava dove adesso abita Scolaro, in cao al bosc de San Marco.
I tedeschi tagliavano i róri [roveri] ... C'era un bosco di roveri che tu non hai neanche un'idea. C'erano dei roveri che ci volevano due uomini ad abbracciarli. Grossi! Guarda che con una doppietta non riuscivi a colpire un uccello che era sopra un rovere, da alto che era.
Il povero mio padre era boscaiolo, lavorava dentro nel bosco [...] c'erano segherie là. Tutti i ponti che c'erano sulla Bidoggia sono stati fatti con quei roveri. Il bosco era del comune.
I soldati tedeschi hanno distrutto il bosco. Hanno tagliato per loro, l'hanno adoperato là, e la rimanenza l'han portata via per far fortezze.
[...] Hanno portato via tutto i soldati della prima guerra: tagliato e portato via tutto. Ti dico che noi eravamo la prima casa dopo del fronte, eravamo di fronte al bosco.
*
I tedeschi, sai che sono arrivati fino a Meolo? Il Piave lo avevano passato [nell'offensiva del giugno 1918].
Gli italiani hanno lasciato che passassero il Piave e quando sono andati oltre – che sono arrivati con il fucile, senza riserve, con poche di munizioni – hanno "alzato" l'acqua del Piave e loro indietro non sono più riusciti a tornare.
Prima, [quando l'avevano passato, il Piave] era asciutto. L'hanno attraversato con cavalli e via discorrendo. Dopo, quando gli italiani hanno levà [lasciato scorrere] l'acqua del Piave ... sono rimasti dentro i cavalli, i militari non potevano più passare e per sgomberare l'acqua hanno dovuto dargli cannonate. Tra cavalli, carretti e soldati avevano fermato l'acqua. Hanno dovuto cannoneggiare il groviglio che si era formato nel Piave, per romperlo e permettere il deflusso dell'acqua che andava verso il mare.

Nastro 1986/9 - Lato A

Aggiunte e precisazioni, 30 gennaio 1986
[...]
Noi si era ventisette-ventotto ragazzini e si era tutto il giorno nel bosco, durante la guerra del '15-'18. Erano rimaste molte munizioni e tutti noi ragazzini, sai cosa si faceva? Si prendeva, si smontavano un poche di bombe, casse di polvere ... si faceva una riga di polvere di duecento metri che andava a finire sul deposito delle munizioni. Si dava fuoco alla polvere e si scappava. La polvere andava via ardendo, andava nel deposito delle munizioni e scoppiava fuori tutto. Quello era il giudizio che si aveva!
Non si vendevano questi residuati, munizioni, fucili, cannoni. Noi la munizione la si faceva saltare. L'altra roba sono venuti i soldati a prenderla dopo.

[Il racconto della guerra si interrompe con vari episodi di vita nell'antico bosco di San Marco]

[...] Dopo la guerra – che il bosco era andato distrutto – carestia di legna. Se a qualcuno gli occorreva legna ... andavano in questo bosco con un badile e una manera e in due ore ti buttavano fuori tre quattro quintali di legna. Tutta a stèle [schegge, stecche]. Avevano mannaie di quelle giuste ed era gente che conosceva la vena del legno. 
Terminata la guerra, il bosco è stato tirato ad agricoltura e hanno messo dei concentramenti di baracche di profughi, robe così.
Ci saranno state un migliaio di persone dentro, un cinque-seicento famiglie. In località Campagna [...] dove c'è il ponte sulla Bidoggia [lungo la Calnova], subito di lato c'è una strada che va dentro. Vai avanti mezzo chilometro e vedi il lazzaretto dove c'erano i militari con il colera. La nostra casa era fuori del bosco e adesso c'è una famiglia che anche loro sono in affitto con l'Ospedale. Abbiamo abitato là fino al 1934.
Il bosco con la guerra, sparito tutto. I tedeschi hanno portato via tutto, tagliavano con le asce. C'era il reparto boscaioli e anche i nostri boscaioli del paese andavano ad aiutarli. Avevano requisito tutti. 
boscariòi erano un "reggimento" per conto loro ... ma a tagliare il bosco, lo hanno tagliato tutto gli italiani mobilitati, roba di guerra. 
Facevano trincee, ponti. Là sulla Bidoggia, di ponti ce n'era uno ogni duecento metri. Era per andare alla guerra sul Piave [perché non erano sufficienti i ponti che già c'erano]: uno a Campodipietra, un altro sulla Calnova e dopo - dalla Calnova - un altro era in Grassaga. Così, frammezzo ai ponti [di pietra], con i roveri hanno fatto altri ponti.
Il bosco deve essere stato complessivamente sui 350 campi e nel tempo del 15 e 18 è stato tagliato tutto.
Prima, quando c'erano gli italiani, tagliavano i roveri che venivano segnati dalla forestale e facevano trincee con i roveri. Gli italiani tagliavano secondo le regole, quando è iniziata la guerra.
[...]
I tedeschi hanno fatto piazza pulita del bosco. Erano rimasti quattro roveri, proprio là "sopra" la strada, presso la famiglia M. Erano persone poco per bene, avevano fatto amicizia con i tedeschi e gli hanno lasciato quattro-cinque roveri.
D. Perché proprio a questa famiglia?
R. O spie dei tedeschi, o chissà cosa. Glieli hanno lasciati e dopo loro se li sono tagliati e se li sono portati via. Ormai il bosco era distrutto, non c'era più niente.
Quando sono andati via i tedeschi non c'era più niente al posto del bosco. Niente, niente. Netto. Un poca di ramada [ramaglia] e sóche [ceppaie].
In primavera hanno iniziato a darne tre campi a uno, quattro a l'altro. Andavano a cavarsi queste legne e le soche e l'hanno tirato ad agricoltura.
[...]
Il comune ha dato gratis il bosco alle famiglie. Un campo-due ciascuna, e in un anno: pulito tutto, non esisteva più neanche un bacchetto.
Dentro al bosco senza esagerazione ci saranno state una media di mille persone al giorno, ognuna sul suo pezzo di terra.
A noi hanno dato due campi. Mio padre è venuto fuori dalla famiglia patriarcale ed è andato ad abitare nel bosco in una baracca americana. Si abitava nella baracca e si andava a ripulire il nostro pezzo di bosco per mettere un poco di mais.
A quelli che andavano ad abitare nel bosco con la baracca gli assegnavano un pezzo di terra. Il resto del bosco l'hanno dato a chi se lo voleva prendere, operai...
A quel tempo là lavori non ce n'erano ... e carestia di legna. Andavano nel bosco, pulivano il loro pezzetto di terra e piantavano mais, patate, fagioli e robe così.

1986/9 - Lato B

[...] I baraccati sono rimasti là per molto tempo.
Noi abbiamo fatto dieci anni e siamo venuti via nel '33. Eravamo orfani, perché mio papà è morto del '20.
Le baracche nel bosco devono esserci rimaste per altri vent'anni, finché è venuta fuori la legge che ha detto che tutti quelli che erano nelle baracche dovevano andare nelle case e hanno fatto le case rurali, quelle casette lungo la strada che una volta non c'erano.
Ci saranno state 6-700 baracche. 
Gli chiamavano Matausen [Mauthausen] perché era un concentramento di poveri [Cfr. Giulio Boa, Far West trevisan, 1987. Vita nelle baracche al "canile" di Treviso, sempre dopo la 1GM].
Quando qualcuno di noi delle baracche andava fuori, magari in paese, gli dicevano «sei da Matausen, taci!». Matausen vuol dire miseria.
[...]
La nostra baracca era americana. [...] Era chiamata americana perché quelle baracche le adoperavano gli americani quando sono venuti a combattere in Italia bevendo la birra.
Dopo loro si sono ritirati e ci hanno lasciato tutte le baracche che le hanno date ai poveri. 
Io ho ancora il tetto della baracca, sul barco. Quando abbiamo disfatto la baracca, il tetto l'abbiamo messo sul barco, ed è ancora là [dove Simonella abita ora, nella bonifica delle Sette Sorelle, a San Stino di Livenza]. È ancora sano...
Quando siamo venuti via, i nostri due campi li abbiamo lasciati al comune perché si pagava l'affitto. Abbiamo disfatto la baracca e l'abbiamo portata qua nella palude dove l'abbiamo usata finché si è guastata "torno torno" [alla base] e non stava più in piedi. Allora abbiamo fatto su una casetta e l'abbiamo coperta con il tetto della baracca. Siamo andati avanti vent'anni e dopo abbiamo comprato dove siamo ora (sempre nella zona). 
Abbiamo buttato giù la casetta là, costruito questa casa qua e il tetto della casetta - che era quello della baracca - è sopra il barco. Quanti anni ha, quel tetto? [...]
Ritorna a parlare della vita nell'ex bosco di San Marco
[...] Più di asini là non c'erano, in quel concentramento. Si aveva uno stradone, per andar fuori, che quando andava bene sarà stato un metro di fango. Si aveva un pozzo al quale si servivano tutte le famiglie; meno male che non è venuto il tifo. Eravamo senza acqua e il comune ci ha fatto nel centro un pozzo. Ognuno, quando gli occorreva l'acqua, andava al pozzo con la mastella e la corda e si tirava su l'acqua; poi si portava via la corda e la mastella.
Pensa: con cento mastelle, con mille mastelle che vanno giù nel pozzo, che acqua buona poteva esserci stata?
Non è scoppiato il tifo perché Gesù Cristo ha detto che se gli mando il tifo muoiono tutti.
[...]

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