martedì 31 agosto 2010

Luigi (Vittorio) Rosiglioni, Noventa di Piave VE

Nato il 6 febbraio 1903

Nastro 1993/6 - Lato A                          11 settembre 1993

Luigi (Vittorio) Rosiglioni, 1903, Noventa di Piave
Figlio di Vittorio (cl. 1849) e di Maria Pasqualini.
Eravamo 11 fratelli, di cui 4 (due maschi e due femmine) sono morti da bambini. Mio padre era negoziante (commerciante) di cavalli. Andava in Jugoslavia, in Austria. Abitavamo in via Calnova ed eravamo abbastanza benestanti, ma non avevamo campagna: solo la casa con attorno un campo di terra.
Ricordo che ad un certo punto si è sparsa la voce: «I riva, i riva, i riva, bisogna scampar, riva el nemico.»
Arrivavano frotte di militari [italiani], ammalati, feriti. Noi siamo scappati; altri invece sono rimasti come ad esempio mia moglie Ida Polita, da Romanziol, poi trasferitasi in via Roma, vicino all'attuale osteria da Elio.
Mio padre ha detto: «È meglio scampar via.»
Mio padre conosceva uno che era proprietario di cavalli e di carri.
Hanno caricato un po' di roba su due carri trainati da tre cavalli, e sul carro sono saliti anche un mio zio (Giovanni Rosiglioni) con la famiglia; zio che abitava a Calnova.
In tutto saremmo stati una ventina di persone, e nei carri siamo riusciti a mettere poca roba, soprattutto da mangiare.
Hanno preso la direzione di Mestre e la prima notte ci siamo fermati fra Mestre e Padova, un po' più in là di Dolo, mi sembra.
Siamo scappati di mattina, e per poco io ho rischiato di rimanere di qua del Piave perché mio fratello Giovanni, che era in guerra, aveva lasciato la sua bicicletta dalla fidanzata Elisa Schiabello che abitava in via Lampol, qua a Noventa.
Sono andato a prendere la bicicletta e i miei nel frattempo erano già arrivati al ponte di barche costruito dai soldati italiani per congiungere le due sponde del Piave all'altezza del passo a barca, proprio dove anche adesso c'è il ponte di barche. Per pochi minuti ho rischiato di restare da questa parte di qua. I miei erano già passati e io ho fatto appena tempo di passare, che il ponte è stato fatto saltare.
Avevo fatto appena in tempo di andare sull'argine di Fossalta quando hanno fatto saltare il ponte di barche. Mio padre e mio zio mi aspettavano un poco più avanti e mi hanno preso su.
08:00 Mio fratello era soldato dalle parti di Gorizia e non è mai stato mai ferito. Avevo anche altri quattro fratelli in guerra e se la sono cavata anche loro. Uno (Giovanni) era di fanteria; un altro (Giuseppe) era di artiglieria pesante campale; un altro ancora (Antonio) era di artiglieria mentre l'ultimo dei fratelli, cl. 1899, era dei pontieri e si chiamava Pietro.
Mio fratello Giovanni quando aveva dovuto andare in guerra aveva lasciato la sua bicicletta dalla fidanzata Elisa, che era operaia nella fabbrica dello jutificio [di San Donà]. Lo jutificio c'è ancora ed è in funzione, anche se adesso vi lavorano al massimo 150 operai, contro i quasi 1500 di allora. Mi sembra che allora il padrone dello jutificio fosse un certo Nardini. La maggior parte degli operai erano donne, come Elisa la morosa di mio fratello. Elisa utilizzava la bicicletta di mio fratello (che era da donna, stranamente) per andare lavorare.
Quando io ho attraversato il ponte avevano ancora da iniziare le sparatorie e le bombe. C'erano migliaia di soldati e di persone; tutte a piedi, civili e militari.
11:25 Nel paese di Noventa di Piave, tre quarti delle persone sono scappate, compreso il prete che si chiamava don Lino, ed anche il sindaco Vittorio Crico, che se n'è andato verso Milano o Torino, non so. Il prete e il sindaco sono scappati prima di noi, e sono scappati in treno, perché erano dei signori.
Noi invece siamo andati via con i cavalli, ma tanti andarono via a piedi.
Quella che sarebbe diventata mia moglie (che è morta ormai da dieci anni) è rimasta invece a Noventa. I tedeschi portarono la sua famiglia a Palmanova, dove è rimasta fino alla fine della guerra.
Il ponte di barche, quando lo hanno fatto saltare saranno state le undici del mattino.
Noi, con i cavalli, siamo andati verso Mestre, e poi abbiamo proseguito verso Padova.
Ci siamo fermati prima di Padova, lungo la strada. A Dolo, Stra, Mira, non ricordo, e abbiamo dormito in una casa che ci ha trattati abbastanza bene. Ci hanno dato delle coperte per la notte e anche da mangiare.
16:03 La mattina dopo pensavamo dapprima di andare verso Milano dove mio padre e mio zio conoscevano delle persone per via del loro mestiere di commercianti di cavalli.
I miei erano proprio commercianti di cavalli, solo di cavalli, non mediatori di terra. La famiglia Rosiglioni, sentivo dire dai vecchi che sarebbe originaria di Rimini, tanto che avevano il soprannome di "Rimini". Anche mio padre Vittorio aveva il soprannome di Rimini.
Dopo Padova abbiamo proseguito verso Rovigo. Arrivati al Po ci siamo fermati nel paese di Massa Superiore [dal 1928 Castelmassa] in prov. di Rovigo [...]. In quel paese, infatti, mio padre conosceva un suo collega commerciante di cavalli che lo ha invitato a fermarsi in paese e gli ha trovato una sistemazione, con tanto di casa e di lavoro, come cariòto (cioè trasportatore) presso una fabbrica del luogo, una fabbrica che lavorava juta. Così si guadagnava anche da vivere.
E proprio a Massa Superiore è morta mia madre, di ulcera. Una malattia che allora era difficile da curare, specie in quelle condizioni.
Quando due miei fratelli hanno saputo che la mamma era gravemente ammalata di ulcera, hanno ottenuto il permesso di venire a trovarla.
Mi ricordo che quando è morta mia mamma, c'era sulla porta della stanza mia sorellina Carolina di cinque anni e c'erano questi due miei fratelli che tenevano la mamma per le braccia, mentre si contorceva dal dolore e dallo spasimo. L'hanno tenuta per le braccia finché è morta perché l'ulcera era scoppiata. È morta in braccio dei suoi figli Giuseppe, il più vecchio, che adesso avrebbe 108 anni, e di Giovanni che era del 1893.
Mia sorellina Carolina piangeva perché vedeva la madre morire...
Poco dopo che la mamma era morta è arrivato a casa anche mio fratello Pietro, (classe 1899). Antonio invece, che era del 1897, era rimasto prigioniero in Ungheria.
21:55 Quando Pietro è tornato a casa sua mamma era morta da due giorni. Allora si è messo a gridare e a scalciare disperato invocando, gridando e chiamando "Mamma mia, mamma mia". Gli altri fratelli, almeno, erano riusciti a vederla viva.
Il dottore era venuto a casa nostra ma aveva detto «non si può fare niente.»
La mamma è stata seppellita là e io non ne ho saputo più niente. L'hanno seppellita là in quel cimitero, che poi io neppure sapevo con precisione dove. L'hanno seppellita senza una croce e senza una lapide.
Io andavo a lavorare con mio padre. Si andava soprattutto fino a Badia Polesine a fare trasporti per questa fabbrica. A volte portavamo la juta anche verso Rovigo e verso Verona.
Finita la guerra siamo ritornati in paese. La nostra casa era a pezzi, completamente distrutta, solo qualche pezzo di muro, e basta. A Noventa non ce n'era una di casa, in piedi. Ci hanno dato una baracca e poi, con l'aiuto dei prigionieri austriaci, ci siamo costruita la casa nuova nello stesso posto della vecchia.
Mio padre dopo la guerra ha cambiato attività, dedicandosi prevalentemente al commercio del pesce e dei crostacei (masanéte).
Si andava in valle Grassabò, dalle parti di Caposile. Si arrivava fin dove possibile con il cavallo e poi con la barca si entrava in laguna fino al Cason di valle, il palazzo dei pescatori che vendevano la loro merce.
Poi mio papà questo pesce in parte lo vendeva direttamente nei mercati della zona e in parte lo rivendeva ad altri piccoli negozianti o commercianti. Lavorava cioè sia all'ingrosso che al minuto. Andava con i cavalli ai mercati di Oderzo e di Motta di Livenza...
Mio papà aveva smesso di fare il mercante di cavalli perché, essendo del 1849, dopo la guerra era ormai anzianotto. Morirà verso i 90 anni. [...]    
Il commercio, ritornati da profughi, era soprattutto pesce e masanéte, la cui stagione è di autunno - inverno. Con il pesce si riusciva a vivere abbastanza bene.
31:35 Io però a quindici anni ho iniziato a "menar la carriola", e dopo vari lavoretti come operaio semplice, manovale, ho iniziato a lavorare per delle imprese. Il mio vero mestiere è stato il muratore.
Degli altri fratelli: uno era falegname, un altro muratore, un altro ferraiolo e un altro ancora facchino, quello della classe 1899, che era molto robusto.
Io invece ho lavorato sempre nell'impresa Rado (Giuseppe e Giovanni) di Noventa di Piave, come muratore, nella costruzione di case e palazzi. Non solo a Noventa, ma anche a Mestre.
A Noventa era importante l'impresa di Pietro Orlando, che lavorava la sabbia e la ghiaia del Piave. Lavoravano ai lati della strada per San Donà, ma sabbia e ghiaia la estraevano a Salgareda. Poi con le barche la portavano fino a Noventa. Vi lavoravano fino a 100-150 persone.
35:00 A Noventa arrivavano i burci grandi che venivano da Rovigo o Ferrara e portavano via la roba. Inoltre anche nel paese c'erano numerosi barcaioli; secondo me erano più di cento.
Adesso le racconto un episodio. Quando ero a Massa Superiore ero giovane. Abitavamo in una bella casa, e sono sempre stato bene. Si mangiava bene, abitavamo proprio in paese e anche se non avevo fatto particolare amicizia con la gente del paese mi trovavo bene.
37:25 Ricordo che vicino a casa mia c'era una donna che aveva il marito morto in guerra. A volte mi diceva «vieni, vieni a casa mia ... perché non vieni a casa mia?» Voleva che andassi a letto con lei, ma io avevo solo 15 anni e poi lei aveva un figlio che aveva la mia stessa età. Mi iera putel, chi xe che ndava a pensar a chée robe là.
In osteria a Noventa, ora mi bevo ogni sera una "rossetta" e inoltre mi fumo un paio di sigarette; però in tutto mai più di 5, massimo 6 sigarette al giorno. Piuttosto di bere del vino semplice preferisco questa specie di aperitivo, la "rossetta": vino bianco, acqua minerale, campari bitter e una fettina di limone.
Mangiando, invece, bevo tre quarti di bicchiere di acqua e un po' di vino. Una volta invece bevevo molto, anche un bottiglione al giorno, e poi al ritorno dal lavoro ancora mi bevevo qualche onbreta in osteria.
Ho sempre lavorato con l'impresa Rado, anche tre anni a Trieste. 
39:30 Durante l'ultima guerra sono stato cinque anni in Germania, a Norimberga e quando sono venuti avanti i russi e gli americani siamo scappati tutti quanti e siamo tornati a Noventa. Così, scappando, ho perso i contributi di quattro anni di Germania, mentre con il primo anno di Germania (ero con un'altra ditta ed ero in regola) prendo la pensione: poco, 40.000 lire al mese, ma la prendo.
Comunque sono ruscito a non fare la seconda guerra. 
In compenso avevo avuto ben quattro fratelli che avevano fatta la prima guerra. Tutti quattro si sono salvati, per fortuna. Uno è stato prigioniero in Ungheria dove ha trovato sistemazione presso una famiglia di contadini. Mangiava e dormiva con loro e poi andava a lavorare i campi con loro. «Meglio così», raccontava, «se fossi rimasto in guerra non so se mi sarei salvato.» Questo era Antonio, classe 1897.
Dei miei fratelli, il più vecchio è morto di broncopolmonite; due di ulcera e un altro di avvilimento perché aveva la figlia ammalata.
*
43:03 Un pacchetto di sigarette, ora, mi basta tre giorni.
Anche se ho quasi 91 anni sto bene e corro ancora in bicicletta. Tanti invece che hanno la mia età sono insemenìi e imbaucài. Non gioco più a carte, però, anche se tanti mi invitano, perché tutti mi conoscono in questa osteria dove vengo ogni giorno tranne al mercoledì quando chiude.
Tutti mi conoscono come Vittorio, lo stesso nome di mio padre; come Luigi invece non mi conosce nessuno.
Da ragazzo ero molto sportivo, facevo ginnastica, mi piaceva correre a piedi e anche fare lunghe escursioni con la mia bici Ganna.
Ho tre figli: Armando, Ferdinando e Mario [?]. Mi sono sposato tardi, a 37 anni. 
Mio figlio Armando ora si trova in Cina con una ditta di Genova. Fa il perito elettrotecnico strumentista e guadagna 12 milioni di lire al mese. Sua moglie invece è americana.
*


Mi dà il nome di sua cognata Isolina Polita che ha 84 anni e che rimase di qua del Piave. Abita nelle case popolari a dx della strada per San Donà.

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