mercoledì 8 settembre 2010

Antonio Faccin, Fontanelle Tv

Nato il 9 marzo 1898.

Registrazione effettuata a casa del genero Emanuele Nespolo, Mansuè TV, il 13 marzo 1998

Nastro 1998/6 - Lato A

[...] Io vorrei parlare con quel senatore che per me non va, che voleva dividere l'Italia, Bossi. È stato al cinema a Codognè e ho detto [...]: «Portatemelo qua, quando viene, vedrete che cambia pensiero.»
Ma, sentite, dividere l'Italia? Se abbiamo fatto una guerra per l'unità d'Italia, Trento e Trieste e ci hanno dato in ricompensa le grandi perdite che abbiamo visto da parte della Jugoslavia.
E quell'altro vuol dividere l'Italia! Ma andiamo, dove siamo! Ma, sentite, quei senatori là, scandalosi, buttateli fuori.
Guardi, io parlo senza riguardo, anche se lei porta per Bossi, io glielo dico. Non è un uomo, no, no. Parlerà bene, perché capisco, cerca di attirarsi la folla. Ho avuto dei cugini che gli hanno dato ragione, gli hanno dato centomila lire, cinquantamila lire, in nome di Bossi, però adesso hanno cambiato; i miei cugini hanno capito.
*
Adesso mi comincia a mancare la vista, ma a me basta - in un giornale - guardar l'intestazione; io so già cosa vuol dire tutto, ormai. La mia testa sa tutto cosa vuol dire il giornale; non occorre che legga l'articolo.
Ho fatto la terza elementare, ma mi sono sempre esercitato [...]
Mio padre è nato nel 1847, al tempo che chi andava a fare il soldato in Austria faceva undici anni. In casa mia non è andato nessuno, ma un certo Bortolo Cescon vi è stato undici anni.
A casa mia, mio nonno è stato il primo sindaco del Comune dopo l'unione al regno d'Italia; era sindaco di Fontanelle.
Io sono nato e sono sempre stato domiciliato a Fontanelle.
*
In tempo di guerra dopo tre mesi ero caporalmaggiore e la guerra l'ho fatta con quel grado.
Con la ritirata di Caporetto, che avevamo perso tutto, mi hanno forzato di andare a Modena per fare il corso di allievi sottufficiali, con la terza elementare...
Alla fine della guerra sono stato di presidio a Trento e poi sono stato a Innsbruck.
[...] Ero a Nimis quando abbiamo sentito un gran bombardamento. Cosa è, cosa non è, là non si sapeva niente, poi hanno detto: «A Udine non è rimasto un vetro sano, in nessuna parte. Sono tutti senza vetri». Noi ci si chiedeva se erano i tedeschi che stavano venendo avanti, là a Nimis dove ci trovavamo, ma poi si è saputo che nel paese di Sant'Osvaldo era tutto saltato in aria, con 200 morti e ci hanno mandati subito là a tirar fuori morti. Era giugno [agosto] e c'era una puzza che non ti dico, a tirar fuori morti e a lavorare. E là mi hanno tenuto tre mesi.
Quando era in vista la grande offensiva – perché in quel frattempo la Germania aveva fatto l'armistizio con la Russia, hanno preso tutte le forze che avevano nel fronte russo e le hanno messe contro l'Italia – il general Cadorna è andato in licenza per un periodo di 15 giorni. Non so se stava male perché era un po' avanti in età.
Il general Capello aveva il comando. Quindici giorni prima è venuto l'ordine a tutti i cannoni di grosso calibro di mandarli indietro.
Ma come mai si diceva noi? Nessuno sapeva niente. Capello ha mandato via tutti i grossi calibri.
Viene il 25 ottobre e gli altri sferrano un'offensiva straordinaria. Palpavano il terreno a palmo a palmo. Era destinato alla morte, l'esercito italiano.
Il general Capello dà l'ordine subito: bruciare tutti i depositi, armi, viveri, munizioni, vestiari. Bruciare tutto e ritirarsi.
Per la strada un disastro. Si tratta che, da Caporetto e per centinaia di chilometri, parte per parte, non c'erano che carretti dell'artiglieria e delle borghesìe [civili]. Tutti pieni di cavalli, muli morti e carretti rovesciati così com'erano ... tre quattro uomini con le spalle, e giù.
Per dar forza all'esercito i grandi ufficiali con la rivoltella in mano...
Dentro per i campi c'erano carri con sacchi, un poche di pannocchie, caretèi [botticelle] di vino ... i borghesi dentro ai campi, per dar spazio all'esercito. [...]
Sul Tagliamento ci siamo schierati tutti. Là siamo partiti con lo zaino noialtri giovani, con lo zaino flagellato [affardellato], la cartucciera carica di cartucce, il fucile non si parla e i tascapani. Due gavette solo e il resto tutte bombe a mano. «Dal fronte ritirarsi, ma nei fiumi fermarsi e sparare» per dar tempo all'esercito di ritirarsi.

Nastro 1998/6 - Lato B

Io non sono mai stato ferito. Quando sono arrivato al Piave, ormai il fronte si era messo apposto e a noi che siamo venuti da Caporetto ci hanno detto: «Adesso montate sui camioncini che vi portano nel lago d'Iseo e là smontate e andate nell'altra sponda e andate su nel Trentino.»
Là abbiamo fatto un inverno splendido, i tedeschi sparavano continuamente, ma noi eravamo sotto i monti e il soldato è spensierato ... quando vedeva le granate che passavano sopra e finivano a un km di distanza gli fischiavano dietro.
Però qualche giorno mancava il rancio perché le marmitte erano saltate per aria e quei poveri soldati [i cucinieri], che erano di terza categoria, erano anziani e avevano famiglia, morivano prima di noialtri giovani.
Nel Trentino [...] bisogna vedere come hanno fatto le trincee gli italiani: "finite", con l'intonaco come qua in casa! C'erano le feritoie per sparare e, come in un gran palazzo, avevano dato l'intonaco e le malte, e c'erano i suoi gradini per entrare. Hanno speso miliardi, non dico miliardi perché allora saranno stati milioni, per fare trincee che non servivano a niente.
Non si poteva star dentro, voleva dire morire. Siamo arrivati a 35 gradi sotto zero, sotto i monti dalla nostra parte. Per fortuna c'erano tutte le baracche, lunghe, in diversi appezzamenti. Alla notte si andava nelle baracche per dormire [...] ma c'erano i pidocchi che si poteva prenderli a branche, perché ormai erano tanti anni di guerra.
Dentro alle baracche erano tutte caselle come in un cimitero le colombaie. Precise. Tutte le righe per dormire, e tutti conoscevano la propria linea fino in cima. Proibito di far luce per non farsi vedere dal nemico.
*
La ritirata è iniziata così.
Sa come è l'italiano: che quando hanno detto: «Ritirati», tutti a correre, uno sopra l'altro.
Sono successi dei morti, schiacciati nella fuga, di tutto.
Borghesi dentro per i prati e per i campi. Facevano pietà. Donne che piangevano, vecchi. Avevano cominciato la strada [per scappare] e se n'erano pentiti subito.
Cinque giorni di piova e vento che Dio la mandava, e sopra, gli apparecchi tedeschi che si sentivano brontolare in mezzo alle nuvole. Però non hanno mai sparato, sono meglio degli italiani.
I borghesi si sono pentiti di essere scappati, perché sono finiti in mezzo ai campi. [...]
Sui fiumi c'era l'ordine così: «Fermarsi e sparare all'impazzita!
Non si vedeva nessuno e sparavo contento perché non volevo ammazzare nessuno. Io avevo anche una responsabilità, perché il caporalmaggiore era quando non c'era il sergente; che per solito in un plotone c'era un sottotenente un sergente e quattro caporali, ma se mancava il sergente...
Però il governo italiano è sempre stato "conservatore": sono stato promosso tre volte sergente, mai che mi abbiano riconosciuto; perché un sergente lo pagavano una lira e ottantacinque, mentre un caporalmaggiore 45 centesimi. Quando sono ritornato a casa, i miei amici dall'ufficio mi hanno scritto che era arrivata la promozione! Gli ho risposto che se la tenessero loro, oramai.
Comunque dovevo fare come un sergente, e sotto di me avevo 67 uomini.
Sempre me lo ricordo. A Sacile, un sottotenente mi ha detto: «Faccin, qui c'è un po' di quiete – e ci siamo allargati – vediamo quanti uomini che ci sono». Eravamo rimasti in 7, su 67.
Dopo Sacile non ci siamo neppure più curati di contarli.
Gli altri? Sono rimasti prigionieri? Sono andati ammalati negli ospedali? Sono andati a casa? Perché qualcuno è andato anche a casa, quando hanno sentito la libertà...
Io invece se volevo potevo, a Conegliano, fare una scappatina a casa e andar a vedere come stava mio padre che era ammalato. Invece, no, no. Non sono andato. Ho seguito sempre i miei ordini e sono stato contento, perché mi hanno sempre voluto bene. [...]
Posso dirle che quando sono arrivato al Piave i miei calcagni ... la pelle di dietro non sapevo se c'era o se non c'era, e veniva fuori dagli scarponi sangue e acqua. Mi hanno disinfettato e medicato e di là c'erano i camioncini, quelli alla moda vecchia, che ci si stava dentro in una ventina, di più non ci si stava ... e ci hanno mandato sul Trentino.
Hanno visto che del Piave ormai si erano impossessati e in due tre giorni ho cambiato reggimento, che invece del 2° fanteria, Brigata Re di stanza a Udine sono passato al 277 e 278 e il mio deposito non era più a Udine, ma era a Piacenza. [...]
*
Nel 1922 mi sono sposato e – dopo quindici anni – mia moglie che ha avuto 9 figli mi è morta. Sono stato da solo tre anni e dopo ne ho sposata un'altra.
Siccome ero proprietario ero considerato un signore ... ma non avevo niente. Immaginarsi quelli che non avevano niente per davvero!
A dire la verità, posso dirle francamente che sono sempre stato amato e rispettato da tutti, tanto, tanto. Perché in municipio le cariche erano tutte mie.
Mio figlio, che ha fatto la seconda guerra mondiale, è stato due anni prigioniero in Germania e poi è stato consigliere al comune di Fontanelle. Invece io no, consigliere mai stato, ma le cariche, quando serviva per far le tasse, qualunque cosa insomma, io ero sempre là. [...]
Ho voluto sposarmi una seconda volta.
Potevo sposare una colona del conte Marcello, giovanissima, 18 anni più giovane di me. Vista la famiglia per bene i preti mi hanno pregato di fare quel matrimonio perché «ti troverai contento, qua e là». Soprattutto il cappellano, il più giovane, «avanti, sposala!» Ma io no.
Ciò, io 42-43 anni e lei 24...
Dopo lei si è sposata con un giovane, ed era contenta di me perché loro ne avevano parlato di me, ormai, ne avevano parlato i preti, ne avevano parlato i fabbricieri. Avrei potuto sposarla ma io a lento a lento ho sposato una della mia età, 8 mesi più giovane e con quella ... la mi è morta che sono tre anni. Abbiamo fatto 54 anni assieme. Sono stato fortunatissimo, ma ho fatto di testa mia, non ho ascoltato nessuno.
*
La ritirata di Caporetto pareva la fine del mondo, perché dentro – fra i campi e i prati – c'erano i civili, le donne e i familiari obbligati ad andar dentro i campi, sotto a questo diluvio. Facevano più compassione i borghesi che gli altri.
Pareva la fine del mondo, era il disastro.
Io non ascoltavo nessuno e sono arrivato mezzo morto e mezzo vivo al Piave, e sono contento di non aver ascoltato nessuno.
Le munizioni, nei primi fiumi ho cercato di eliminarle, e dopo non mi è rimasto che trascinarmi dietro la fame.
A Codroipo hanno detto che c'erano due vagoni, uno di uova e uno di fichi. Ho mandato un pochi di soldati: «Se volete andare, caricate e portatemene un pochi anche a me», e me ne hanno anche portati. Mi è venuto un mal di denti, a mangiar fichi, soltanto fichi! Uova no che non ce n'erano.
E non c'era mica tempo da fermarsi. Si cercava di correre e correre, e sono arrivato fino al Piave ... ma di 67 ci siamo trovati in 7.
I ponti, io non l'ho visto, ma hanno detto che li hanno fatti saltare con molti borghesi sopra, e anche soldati. [...]
Cavalli morti di fame, spinti giù per i fiumi. Carri buttati giù parte per parte della strada, così come erano.
Siamo partiti da Caporetto che si vedeva a prender un ago per terra; di notte, eh. Hanno bruciato tutto. Con quella fame che avevano, i tedeschi avranno cercato di spegnere e trovare qualcosa di buono da mangiare...
*
[...]
Adesso di Cavalieri di Vittorio Veneto non ne è rimasto più nessuno. E se non muoio, se non muoio ... il 4 Novembre prossimo [1998] devo essere a Vittorio Veneto sul palco delle autorità con il presidente della repubblica [Scalfaro], i generali e tutti. E siccome io sono il più vecchio di quelli che hanno fatto la guerra, leggerò il Bollettino della Vittoria. In Municipio mi scriveranno le parole più grandi, ma devo leggerlo io, il Bollettino. Se non muoio. Perché il presidente della nostra Associazione [Cavalieri di Vittorio Veneto] era del '99 ed è morto lo scorso anno.

Nastro 1998/7 - Lato A

Il "reggente" dell'Associazione Cavalieri di Vittorio Veneto mi ha detto che siamo ancora in 200 Cavalieri, in tutta Italia. Ma io non ci credo, perché vedo che domando di uno e non c'è più, domando dell'altro e non c'è più. In nessuna parte.
Il reggente ha 72 anni.
*
Finita l'intervista, mi accompagna a prendere l'auto il nipote Giusto Faccin, che abita a Gaiarine e fa parte della locale Sezione Alpini.
«Mio nonno era abituato fino a qualche anno fa ad accompagnare ai funerali i Cavalieri di Vittoro Veneto o altri amici, più o meno della sua età che morivano, e dopo la predica del prete, lui faceva la sua orazione funebre che si era preparata durante la settimana. L'ha fatta, davanti all'altare, anche per mio padre, nel '75, quando è morto. E senza una lacrima. Io allora facevo la prima media.
Qui in giro lo conoscono tutti, era un personaggio, era "cappato" in chiesa, amico del vescovo. E poi mio nonno ha sotto mano la storia della parrocchia, dei campanili, delle chiese, di chi li ha fatti e chi non li ha fatti...»

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