sabato 4 settembre 2010

Produzione del Parmigiano Reggiano a Magreta di Formigine MO nel 1918-19



Testimonianza di Angelo De Ruos, profugo del Montello nato nel 1903 a Sovilla di Nervesa TV. Questo brano fa parte di una più ampia intervista effettuata da Camillo Pavan nel corso delle sue ricerche sull'ultimo anno della prima guerra mondiale.

Nastro 1994/7 - Lato B                                          28 aprile 1994
                   
A Magreta eravamo vicino al canale che si chiamava La Secchia.
Vicino alla canonica c'era una famiglia di contadini che si chiamava Fèri [Ferri]; buona gente, buona gente...
Sono andato a lavorare nella latteria di Remigio Bertocca, e dormivo là, in una cameretta che c'era sopra. Eravamo in due servitori: l'altro andava a casa sua, aveva la moglie in paese. Io, invece, il padrone voleva che rimanessi là, pur essendo vicino alla vecchia canonica abbandonata dove c'era il resto della famiglia.
Dovevo dare da mangiare ai 2-300 maiali che il padrone allevava (aveva anche 2-3 scrofe). Lavoravo assieme a una ragazza del posto che si chiamava Angelina, una ragazza grande che avrà avuto 30 anni.
Dovevo dare da mangiare ai maiali e fare il formaggio.
L'altro servitore aveva invece il compito di preparare i cavalli per il mercato. Andava sempre assieme al padrone, ai mercati.
Da dentro il capannone in cui erano tenuti, dovevo portar fuori in un recinto un gruppo i maiali alla volta per far la pulizia. Questo al pomeriggio; al mattino invece facevamo il formaggio.
Ai maiali davamo da mangiare a seconda della loro qualità. 
A quelli piccoli si dava lo scolo e i semolèi. A quelli più grossi un po' di farina e semolèi, e a quelli più grossi di tutti si dava farina sbollentata. Quando i maiali pesavano sui due quintali erano venduti all'esercito.
La farina veniva broàa [scottata] con l'acqua bollente, non bollita. Si buttava l'acqua bollente dentro il recipiente della farina di granoturco: era farina da polenta, vera farina da polenta, sempre gialla.
I semolèi erano di frumento: semola e semolèi [crusca e cruschello]. Niente mangime.
I maiali non li ammazzavamo noi, ma li davamo a un capitano che veniva a prelevare quelli che gli servivano con un carretto trainato da 4 cavalli, assieme a sei sette soldati.
Alla domenica andavo a messa e passavo per casa, ma a mangiare tornavo sempre dal padrone. Si mangiava bene: formaggio grana fin che si voleva.
C'era lo scantinato pieno di scaffalature di formaggio ed era nostro compito pulirlo, ogni giorno.
Finito di accudire i maiali si andava nello scantinato a pulire il formaggio.
Avevamo un bruschìn [spazzola] per pulire quella "polverina" che si formava. Solo pulire; sulla crosta niente olio o altra roba.
Ogni giorno, ad ogni forma di formaggio di 40-45 kg che si produceva, si doveva applicare la data.
All'epoca non c'erano le presse per fare uscire lo scolo dal formaggio, ma si metteva - sopra una tavola di legno che era a contatto con il formaggio - un sasso grosso che ci volevano due persone per alzarlo.
La data si otteneva con dei pezzetti di legno che venivano sistemati all'interno dello "scatolo" in legno che rivestiva la forma.
Il capitano controllava sempre le date. Niente contrabbando o vendita ai privati: tutto per l'esercito.
Si mangiava bene ... pane, pastasciutta. Ma la padrona era sempre ammalata e mi stupisco di ricordarmi ancora che aveva una macchinetta che - siccome non riusciva a digerire bene - le tirava fuori il mangiare in eccesso.
Come si faceva il formaggio grana
Avevamo una calièra [caldaia, paiolo] di rame fatta a campana, precisa identica a una campana. La si scaldava sotto con il fuoco a legna e si metteva il dito nel latte per sentire se aveva raggiunto la temperatura giusta, altrimenti si continuava a scaldare.
Poi si metteva dentro il conàio [caglio]: un liquido, una boccetta. Era il padrone incaricato a questa operazione; il mio compito era di mischiare, rigirare il latte con un bastone.
Lavoravamo io e la ragazza e si faceva una forma al giorno.
Il padrone aveva due latterie, ma solo in una si produceva il formaggio.
L'altro servitore attaccava i cavalli e andava a prendere il latte nell'altra latteria e alla sera c'erano tutte queste bacinelle. Alla mattina io passavo con la cazzuola e raccoglievo da ogni bacinella la panna, che mettevo in un secchio e dopo la versavo in un caretèl [botticella] di legno con due manici.
Intanto che si scaldava il latte e si preparava il formaggio noi continuavamo a rigirare la botticella finché si otteneva il butiro [burro].
Con il latte senza panna si procedeva a preparare il formaggio. Non c'era scrematrice, non c'erano macchine: tutto a mano.
Ogni giorno una forma di 40-45 kg.
La calièra avrà avuto una capacità di circa 3-4 ettolitri.
Quando il figlio del padrone, che era prete, veniva a casa a mangiare alla domenica raccontava tutto orgoglioso: «Papà ho fatto la predica in tal paese» ... e si metteva a predicare, appena finito di mangiare.

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