giovedì 23 settembre 2010

Mafalda Molinari e Amoreno Véníca

Nati rispettivamente nel 1911 a Casali Malina (Orsària di Premariacco, UD) e 1906 a Ipplis. Residenti a Cerneglons (UD).

Informatore Pietro Juri

Nastro 1998/17 - Lato B                           Giovedì 15 ottobre 1998

[...]
Molinari. [Dopo Caporetto, i tedeschi] ... sono venuti i tedeschi, a portar via le bestie.
Il nonno ha fatto un po' di resistenza e loro li hanno ammazzati. Tre morti in casa abbiamo avuto. Sono entrati armati, volevano portar via proprio la vacca che doveva partorire, lui si è opposto. Il nonno, visto che eravamo tanti bambini, ha detto: «Portatemi via tutte le altre, lasciatemi quella là» e loro gli hanno sparato.
Il nonno si chiamava Fabio Molinari. Dopo è morto anche suo fratello che era con lui in quell'occasione e che non era sposato. Non si è più ripreso da quella volta, è stato sempre male.
Il terzo morto sarebbe la nonna, sempre in quell'anno.
Guardi, eravamo tanti bambini, tre donne e mio padre; i fratelli erano tutti di là del Piave.
Dopo un anno che non ci si vedeva è arrivato uno zio, fratello di mio padre. Eravamo bambini e lui diceva: «Oh, come state, bambini, [ci] siete tutti?»
E noi: «Sì, noialtri ci siamo, ma i nonni non ci sono, i nonni non ci sono.»
All'epoca abitavamo di là della Malina [dove siamo passati adesso, dice Pietro Juri] in località chiamata Lippe o "Casali Malina", che sarebbe sotto Orsaria
«Ho tutto ancora davanti agli occhi», di quel periodo.
I tedeschi si sono presentati e sono entrati. Tutto quello che hanno trovato si sono messi a mangiare, e uccidere pollame, tutto.
D. Voi non potevate scappare?
R. E come? E dove si doveva scappare? Siamo rimasti dove eravamo, nella nostra casa.
[Juri, interviene e si chiede – Perché i tedeschi non sono arrivati a Padova, in tre giorni? Proprio perché la truppa, il grosso, si perse nelle campagne: ubriacati, 24 ore di ubriacatura generale e completa.]
Un anziano presente all'intervista: «Uccidevano il maiale e ne bevevano il grasso.»
Molinari. Siamo sempre stati fermi dove abitavamo, due chilometri distanti da qua. Dove scampare? Dove si doveva andare?...
Mi ricordo che gli italiani [i soldati] scappavano. Erano tutti disorganizzati, però non avevano fatto malanni nelle case, non ci avevano rubato niente.
Mio padre è andato via di là del Piave, assieme agli altri militari italiani e ai suoi fratelli. Erano quattro fratelli, tutti militari e tutti quattro sono andati di là del Piave.
La nostra famiglia, che è rimasta qua, era composta dal nonno, la nonna e due cognate, mia mamma e la zia e in più noi bambini che eravamo in cinque, due bambine e tre maschi. Dell'altro ceppo, quello della zia, erano in altri tre bambini.
Lavoravamo la terra del conte Puppi di Moimacco. Non so se il conte sia rimasto, ma credo sia scappato.
Durante l'anno dei tedeschi ... da mangiare poco, non si aveva mai niente, perché a casa nostra ogni due tre giorni nettavano tutto. Ed eravamo due famiglie. Cosa si poteva nascondere?
Per fortuna c'erano due famiglie qua in paese che ogni tanto ci portavano qualcosa e si poteva andare avanti, perché a noialtri ci portavano via tutto, nella casa nostra.
Un giorno sono venute le guardie con un mazzettino di paglia, poca. «Non lasciatevi portare via neanche così» hanno detto le guardie «quando vengono vicino gridate "Gendarmi, gendarmi!"».
D. Quindi, secondo i capi non avrebbero dovuto rubare. Perché rubavano lo stesso, allora?
R. Per mangiare! È sempre stata così. Uno mangia tanto e l'altro non mangia niente...
Nessuno comunque è morto proprio di fame, di noialtri, no.
D. E' vero che qualche donna è stata violentata, che sono nati figli di questi soldati tedeschi.
R. Sì, sì, sono nati, sì.
D. Magari le ragazze erano d'accordo?
R. No, non credo. Che sappia io non posso dire.
Juri. Personalmente ne ha conosciuto qualcuno o è una diceria?
Un familiare. È compromettente. Ci sarà stata qualche violenza, ma matrimoni misti fra tedeschi e ragazze locali, qua, non risulta, mentre nella seconda guerra ci sono stati dei matrimoni...
Pavan. Venivano da voi a chiederle l'elemosina da altri paesi ancora più poveri, dalle montagne?
Molinari. Saranno venuti, ma io non ricordo.
D. Quando sono arrivati gli italiani, nel 1918, cosa ricorda?
R. Non mi ricordo bene quando sono arrivati.
Mi ricordo che è arrivato mio zio Davide e noialtri bambini si lavorava, quello che si poteva. 
«Ehilà bambini, siete tutti!?» 
«Sì, noialtri ci siamo, ma i nonni non ci sono», abbiamo detto. 
«Purtroppo, l'ho saputo a Udine.»
Era arrivato a Udine ed era andato da un tabacchino che era uno del paese e si chiamava Gildo Barazzutti. Lui sapeva cosa era successo e aveva informato lo zio che i tedeschi avevano ucciso suo padre e sua mamma.
Barazzuti aveva la tabaccheria appena si entra a Udine da qua, passando il Torre, in via Buttrio, la prima casa. Questo Barazzutti era un tipo un po' particolare, una specie di macchietta, però tutti quelli che passavano di là - perché non andavano in centro a bere un bicchiere di vino, andavano in periferia - tutti si fermavano da Barazzuti, sia che venissero sia che andassero a Udine. La tappa da Barazzutti era d'obbligo, quindi da lui si sapeva tutto. [...]
D. Come si sono comportati gli italiani quando sono arrivati?
R. Non ho ricordi particolari.
Juri. Anche perché loro abitavano un po' fuori del paese.
Un familiare. [Abitavano] là dove c'è il guado, duecento metri prima ... non l'ultima casa che si vede nel basso vicino alla roggia, la Cividina. Il guado si chiamava Malina e il luogo nel complesso si chiamava Casali Malina.
*
Amoreno Venica. Ricordo che abbiamo attaccato quattro bestie al carro e siamo scappati. Arrivati sul ponte di Premariacco ci siamo fermati e appena abbiamo girato il carro il ponte è saltato. 
C'erano due ponti: quello vecchio era rotto un poco e quell'altro è andato tutto dentro al Natisone.
Non ho visto saltare il ponte, perché le guardie ci hanno fermati prima, un duecento metri prima. Erano soldati italiani.
Appena abbiamo girato il carro abbiamo sentito lo scoppio. Allora siamo andati giù a Oleis, Manzano fino a Pavia [di Udine]. A Pavia abbiamo saputo che i tedeschi erano sul Tagliamento. Ci siamo fermati in una casa dove i padroni erano scappati. Siamo rimasti là per tre giorni. Per mangiare: un po' di pane fatto in casa, un po' di polenta, insomma ci siamo arrangiati. Sul carro eravamo otto fratelli, papà e mamma. [...]
A Pavia non abbiamo visto nessun tedesco. Soldati italiani sì, tanti, tutta una colonna (che poi sono stati fatti prigionieri). Noi eravamo in mezzo a una colonna. Una colonna che sarà stata da Pradamano fino a Pavia, coi carri, coi muli. Ci siamo trovati in mezzo col nostro carro trainato da quattro vacche, due davanti e due dietro.[Per portarle con noi ... per dare il cambio, eventualmente, nel viaggio].
A guidare il carro c'era mio papà che si chiamava Domenico. La mamma e noi bambini eravamo sul carro; pioveva.
Sul carro avevamo messo un po' di tutto, anche vino, una botte di vino, tacchini, oche. Su, tutto.
Spiega il figlio. Era un carro grande, a quattro ruote, come i caratteristici carri del luogo. Al centro aveva un pianale che poteva essere largo, non so, un metro e ottanta, e lungo dai tre ai 4 metri.
Venica. Era una botte da due ettolitri ... tacchini, oche. Io ero seduto sul carro, e pioveva. Fermi là in colonna ... siamo tornati a casa.

Nastro 1998/18 - Lato A

Discussione sull'origine (slavo antico? Selva-nera?) del nome Cerneglons, nel cui territorio ora abita la famiglia dell'intervistato.
*
Venica. Ritornati da Pavia, a casa non abbiamo più trovato niente. Avevamo due giovenche e quelle ce le aveva prese un vicino, che poi ce l'ha restituite. Ma la maiala con dodici maialini, due dei quali erano pronti per essere ammazzati, era sparita. Dentro in casa invece i mobili c'erano ancora, ma i mobili una volta, sa com'era, mica come adesso: un tavolo, un po' di sedie.
A Ipplis nessuno era riuscito a scappare, che sappia io, nessuno. Gli unici che abbiamo tentato di scappare siamo stati noi.
D. Com'è stata la vita durante l'anno dell'occupazione austriaca?
R. Come polenta, si mangiava. Si andava al molino col carretto e il molino era a Leproso. [...]. Il padrone dell'epoca era Bergolini.
I tedeschi venivano spesso, tanto che a mia madre - che voleva salvare un tacchino - le hanno sparato. Erano in due soldati austriaci. Non l'hanno presa perché uno dei due ha spostato la canna del fucile che il compagno aveva puntato su mia mamma. Ha vinto mia mamma e loro due sono andati via senza tacchino. 
Eh in quei momenti là! 
Mia mamma si chiamava Caterina Gasparini.
Si andava al molino e si trovava fucili dentro tutti i fossi, abbandonati. Noi si prendeva il fucile e si sparava sui gelsi, come tiro a segno! 
Ma tanti ragazzi sono morti raccogliendo le bombe per terra. Vedevano le bombe, le prendevano su e tiravano. Bombe a mano lasciate dagli italiani prima di scappare. Nei primi giorni c'erano armi dappertutto. [...]
Quando sono ritornati gli italiani noi eravamo fuori in campagna e non abbiamo visto niente. [...] Per noi era una giornata qualsiasi, di lavoro, a raccogliere quel poco che era rimasto.
Mi ricordo dei russi, povera gente, prigionieri. Arrivavano sulla porta e: «Mama, cucurussa, cucurussa», che vuol dire granoturco, pannocchie. Si accontentavano anche di un pugno di cucurussa. Avevamo fatto i covoni con le canne del granoturco e i russi li hanno rovesciati tutti per cercare qualche pezzettino così di pannocchia. 
Eh povera gente, i russi. Non facevano niente; erano prigionieri dei germanici, sempre a Ipplis, in località Le Baronesse. Era un castello, una villa.
Quando sono arrivati gli italiani non hanno suonato le campane, perché non c'erano campane, le avevano portate via.
Molinari. Neanch'io ricordo che ci sia stata qualche festa al ritorno degli italiani. Le campane erano state tutte portate via.
Venica. Mi ricordo che per salvare una vacca abbiamo dovuto portarla nel bosco ai confini con le Baronesse, perché a Ipplis ci sono delle colline; era un bosco di acacie. E stare attenti, sempre uno di guardia, che la bestia non muggisse, perché da sola nel bosco la bestia avrebbe muggito. Questo è avvenuto durante la ritirata dei tedeschi ... e due maiali sotto un tino in mezzo ai campi di granoturco.
Dopo un po' di tempo che sono arrivati gli italiani abbiamo ricevuto un cavallo, ma non ricordo se l'abbiamo pagato o se l'abbiamo ricevuto gratis.
L'ha ricevuto ogni contadino, un cavallo, per lavorare. Era un cavallo dei militari, un buon cavallo, non ne so la razza. Lo si attaccava davanti alle vacche, e via! Sarebbero state quattro o sei mucche più un cavallo, per arare. Ovviamente chi l'aveva, altrimenti si arava anche solo con le mucche.
Il rimborso dei danni di guerra l'abbiamo ricevuto quando io ero soldato, nel '26. L'hanno tirata a lungo finché la giuria ha detto che non avevamo avuto tanti danni [...] ma quelli che avevano minori danni hanno tirato di più!
I tedeschi lasciavano una vacca per famiglia e chi non ne aveva nessuna magari si è trovato con tre-quattro vacche "di danni di guerra" e chi ne aveva due si è ritrovato con una.
[Una volta] i tedeschi ci hanno fatto un buono per il vino che si erano presi. Mio papà è andato dai gendarmi in paese e [gli hanno detto che] sopra era scritto: «I gatti vecchi bevono il vino senza pagare.» Era un proverbio, una presa in giro scritta in tedesco.
Eh, sarebbero tante cose, ma chi si ricorda!
In quell'anno dei tedeschi non si andava a scuola, ma a lavorare.
Io il primo lavoro che ho fatto è stato sul casello di Ipplis. Occorrevano 12 anni per andare in quel posto, e io ne avevo 11. Ma mia madre con un paio di polli al capostazione mi ha fatto mettere là, sulla "Crosada". Ma era ancora prima che partissero gli italiani, quando c'era un treno che partiva da Moimacco e andava quasi fino a Gorizia.
Era un binario solo, a scartamento ridotto. Io ero sul casello con la bandiera rossa a fermare se vedevo un carro di là o una macchina sulla strada. Prendevo 90 lire al mese. Erano tanti ... e per mangiare e bere, dai soldati.
Mio padre non era in guerra, aveva più di quattro figli e lavorava i campi. Mia madre lavorava in casa.
Le riserve del fronte [dell'Isonzo], quando li mandavano a riposo, erano a Spessa di Cividale, sulla strada che va a Corno di Rosazzo. Là c'era un grande campo. Là arrivavano le compagnie ... i quattro - cinque che erano rimasti.
Restavano là 15-20 giorni finché riformavano le compagnie e su un'altra volta al fronte.
Io li ho visti, sì. Il posto era a circa tre chilometri da casa nostra. Mi ricordo che un tenente dei bersaglieri l'ho trovato a Bologna, dopo. Io ero carabiniere e lui comandava la mia tenenza. Mi ha chiesto se conoscevo la zona di Villa Rubini di Spessa dove c'era il campo.
Mi ricordo che poi questi soldati venivano da noi e mangiavano la colza e la condivano con un grasso qualsiasi, pur di sfamarsi, o meglio, pur di sentire qualcosa di diverso, come per una golosità.
Quando ero con la bandierina rossa mangiavo dove era il comando e alla sera mi portavo a casa una bella porzione di pastasciutta. Ogni giorno pastasciutta. Facevano di quegli spaghetti larghi così, me lo ricordo ancora, conditi con tanto di quel formaggio che non si staccavano neppure.
La colza l'adoperavamo al posto del broccolo, lessata e condita con sale olio e aceto. I soldati la condivano con grasso che prendevano dalla cucina. Era una golosità per loro, un po' di verdura. [...]
La ferrovia in cui lavoravo andava da Moimacco a Mossa, fin sotto il fronte, quasi. Portava armi, bombe.
A Moimacco c'era anche il tribunale militare e, dove era il conte De Puppi, là era tutto campo.
Scaricavano dal treno che da Udine andava a Cividale, alla stazione di Moimacco, e da là partiva il trenino.

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