martedì 14 settembre 2010

Ernesto Favretto + Elvira Girardi, Santa Maria della Vittoria (Volpago del Montello), TV

Nati rispettivamente nel 1907 e nel 1912.

All'epoca della Prima guerra entrambi abitavano sul Montello: Favretto in località Fontana Bochin e la moglie a Santi Angeli.
È presente e talvolta interviene Primo Martin (loro amico, originario di Fagarè di San Biagio di Callalta).

Nastro 1986-28 Lato A                                 16 novembre 1986

[...]
Pavan. Ad un certo punto arriva la guerra, nel 1917...
Favretto. «Mi ricordo come adesso, il giorno di San Martino! Siamo andati via, mi ricordo. Sono arrivati i carabinieri dopo mezzogiorno. Due, a cavallo: «Sgombrare!».
Mia sorella Regina, quella lì, aveva una lingua: «Cosa, ha detto? Dov'è mia sorella?», che era quella che era su da Sbèghen, «quella non è a casa!».
Mio papà era fuori [...] che faceva trincee, era venuto a casa, l'ultimo tempo lavorava qua. «Mio papà, dov'è? non è a casa! mio fratello neanche!»
«Via da qua, e non si parla!» ripetono i carabinieri.
«Sì!», ha detto mia sorella.
Ma quando erano passate altre tre ore: quattro carabinieri a cavallo, ancora!
«Ma, avete sgombrato o no?»
«No, no, no», ha detto mia sorella, «e neppure andiamo via. No, no.»
«I tedeschi sono sul Piave!»
Era vero. Erano tre quattro giorni che erano sul Piave!
Perché [...] non c'era neanche truppa qua. Non c'erano ancora militari [italiani].[C'erano] due batterie, una sulla [presa] 16 e una era di là, che sparavano sul Ponte di Vidor e sul Ponte della Priula. Tenevano i due ponti bloccati. Erano minati, ma continuamente sparavano ai due ponti. Altri militari non c'erano.
Insomma quando era verso notte, proprio, sono arrivati ancora i quattro carabinieri.
«Bisogna andar via, sta arrivando la truppa e non riuscirete più a passare per le strade!»
Allora ci siamo decisi. Io avevo ormai nove anni. Va su, ammazza due galline, tre. Si aveva un forno per il pane, fa su un poco di pane, non era né lievitato né cotto. Butta dentro, fa fuoco, cuoci due galline. Si aveva fatto, era un anno pieno, 18 ettolitri di vino clinto.
Mio padre: «Guai toccare un bicchiere di vino, guai bere un bicchiere di vino», diceva a noi, perché dopo si fa confusione.»
Metti su sta roba su un sacco, e parti... Quando siamo stati là a casa tua [rivolto a Primo Martin], sulla tua stradina, ho incontrato le prime truppe che venivano su. Tutti che piangevano. Ah, voi andate a salvarvi e noi andiamo alla morte. E un altro: «Mamma, papà! voi andate al salvo e noi andiamo alla morte». Le prime truppe!
Dopo, quando siamo stati giù per Sala, Pezzan, giù per di là cominciavamo a incontrare gli inglesi, con i cavalli, con i carrettoni. Avevano i cavalli, perché noi se ne aveva pochi. Le strade erano piene così, non si poteva proprio passare. [...] Finché siamo arrivati a Castelfranco.
C'era l'ordine: «Non rifiutare i profughi», «Obbligo di dare alloggio ai profughi»; e là ci hanno dato alloggio. Una cameretta solo in tutti, per dormire così, con la paglia e una bella cucina, sì, grande.
D. Chi vi ha dato alloggio?
R. Una famiglia di contadini, contadini grossi. E là siamo stati fino al giorno dell'armistizio. Era la famiglia Marcon, a Castelfranco, in Borgo Asolo. Era in centro, appena fuori della città.
D. Come vi hanno trattato?
R. Ah, niente! Non c'entravano con noi. Per mangiar ci davano il sussidio, non ricordo quanto fosse, ma si riusciva a vivere, appena appena.
Però c'erano tutti i militari che venivano giù dal Grappa, a riposo, e quelli che venivano giù dal Montello. Si era sempre stretti così [in quella casa].
Pagnocca! Ne avevano loro, da mangiare! Caffè. Mangiare ce n'era sufficiente. C'era anche la tessera dello zucchero; se ne avanzava, anche, di zucchero.
Siamo venuti a casa e avevamo mille lire.
Il quattro novembre hanno firmato l'armistizio; si aveva sentito dire ... alla sera. Sull'imbrunire sentiamo questi militari che sparano, bombe a mano, qua e là, campane che suonavano dappertutto. Mai sentite le campane fino ad allora, c'era un silenzio. L'armistizio! L'armistizio!
Alla mattina, subito siamo partiti io e mio papà, e siamo venuti qua; non la famiglia.
La casa era senza suoli, senza finestre, bruciato tutto. [I soldati] facevano fuoco, non c'erano "legne"! La casa però era in piedi. Pioveva dentro, ma insomma!
Le schegge di granata avevano spaccato le tegole. Dalle granate, proprio, ne sono andate giù poche [case], danneggiate sì. Quella qua dietro, quella è andata rasa al suolo, ma non è andata a causa delle granate: quando i militari hanno levato tutti i suoli, e i serramenti per far fuoco, queste casette fatte su di mezza pietra sono crollate da sole.
[...] Altrimenti le altre case qua, erano danneggiate, ma non rase al suolo.
C'era quella di Piovesan che è andata distrutta - me l'hanno raccontato i militari - perché là c'era il comando. Però sapevano che ormai c'era quest'offensiva, sapevano fra ufficiali, e hanno portato via il comando e l'hanno portato giù sulla "fonda bis", la chiamano.
È arrivato il 305, la granata più grossa che c'era, ed è arrivato proprio sotto. È rimasta una buca di acqua - io sono andato a prendere le rane - al posto della casa [Piovesan]. Neanche le pietre sono rimaste; neanche vedevi una pietra, neanche una. Perché era una buca che era grande come tutta la casa. Non c'era un sasso, portati via tutti, non si sa neppure dove. Quella è stata distrutta dalle granate.
Martin. Deve sapere che il 305 faceva una buca che ci stava dentro tutta questa casa qua. Noi, quando ne era caduta una neanche a venti metri di distanza dalla casa - quando si era a Ca' Lion di San Biagio di Callalta, come le ho già spiegato - sa quanti anni ci è toccato lavorare per portarla al livello del campo, quella buca lì?
Favretto. Nel cimitero ce ne sono due; anche al monumento di Venegazzù ce ne sono due da 305. Se fossero stati capaci di averlo prima, quel cannone là non avrebbero perso la guerra.
Pavan a Favretto. Quanti eravate in casa, quel San Martin, quando sono arrivati i carabinieri?
R. Io ero il più piccolo, poi c'era la sorella che "rispondeva" ai carabinieri e che si chiamava Regina. Ma prima di lei ce n'erano ancora: l'Albina, la Maria e mio fratello Giuseppe, in più mia mamma Margherita. Poi c'erano le ragazze più vecchie: la Emma e ...
Insomma eravamo sei figli più il papà e la mamma.
D. Voi non avevate visto, i giorni precedenti, che ormai c'era movimento?
R. Macché! C'erano i militari, quelli che le ho detto, questa batteria che era qua e quella là. Venivano nel cortile, perché c'era solo uno che comandava queste due batterie. Passava per il cortile, tutte le sere, andavano a trovarsi, si fermavano con le ragazze, con le mie sorelle. Sono stati quelli che dopo ci hanno ammazzato, ci hanno mangiato il maiale: quei militari là, che ormai erano amici. Erano otto giorni che loro erano là. Hanno mangiato il maiale, perché noi abbiamo lasciato vacche, maiale...
D. Non vi hanno fatto né ricevuta, né niente?
R. Eh! Dopo otto giorni ci hanno scritto. Hanno scritto alle mie sorelle dove ci trovavamo e hanno risposto: «Se ci portate su un pacco di toscani - perché erano veneti, questi artiglieri - vi diamo due braciole del vostro maiale! Basta che ci portiate un pacco di toscani!»
D. Non avete preso niente, insomma?
R. No. Dopo però hanno pagato i danni di guerra.
Le due batterie erano una sulla 16, dove attualmente c'è la famiglia Sartor ma all'epoca c'era la fam. Basilio; l'altra era sul bosco e non c'erano case là.
Noi, cosa vuole che si sapesse di guerra! A quei tempi là non c'erano mai state guerre. Non si credeva neanche. Non si credeva. Erano solo le due batterie italiane e i tedeschi, quando sono arrivati sul Piave, non hanno mica sparato un colpo! Erano là già da tre-quattro giorni.
D. E cosa facevano?
R. Dicono che loro avevano viveri per dieci giorni, per tutta la Germania. Hanno fatto il conto che avevano viveri per dieci giorni. Loro, dopo dieci giorni sarebbero andati a casa da soli, non avevano più niente [prima di Caporetto].
Quando hanno preso tutta la zona del Friuli, S. Biagio di Callalta, tutto il Basso Piave con quelle aziende che c'erano là - tu lo sai [rivolto a Primo Martin] - hanno trovato frumento, polenta, vino, buoi, vacche. Ne hanno trovato che hanno vissuto un anno. Di qua e di là del Piave, maiali, vacche. Quando sono arrivati qua, con il sonno che avevano! Perché hanno mangiato e bevuto, loro...
Martin. Noi sulla nostra campagna avremo avuto cento mucche, senza mettere le oche, le anatre, i piòti [tacchini], le galline, i capponi e tutta l'altra roba. Noi alla sera di San Martino ... noi si aveva la batteria. La batteria l'hanno messa a quattro metri dietro la casa. Si aveva un prato e c'era l'artiglieria da montagna. Siamo stati tre giornate che sparavano.
Io, quando sentivo le pallottole che fischiavano, facevo con il cappello così ... perché mi sembrava fosse un aeroplano che passasse. Ma dopo ho cominciato a vedere che a duecento metri partivano per aria quegli oppi e quelle viti là, che vedevi tutto.
Quando sono venuti i carabinieri la prima volta mia mamma e mio nonno hanno detto di no, ma dopo, alla seconda volta, quando sono venuti con la baionetta innestata ... «Via, hanno detto, bisogna che andiate a Lancenigo, che c'è l'ultimo treno che parte».
D. Con la baionetta, proprio?
R. Con la baionetta innestata, per convincerci, per far paura. È rimasto là [a casa], tanto perché possano andar portar via un pochi di attrezzi, mio nonno, mia nonna e due miei fratelli più vecchi, Toni e Virginio.
Favretto. Siamo partiti alla mattina. Gli abbiamo detto, alla fine: «Sì, andiamo via quando viene giorno». Era il giorno dopo di S. Martino [12 novembre 1917].»
E io, per guardare l'artiglieria che c'era là - che sentivi il colpo qua e dopo sentivi biii...svraàm sul Ponte, che cadeva il proiettile - sono andato in cima a una pianta [...] e sono caduto giù, e mi sono scavezzato il braccio. C'erano già i tenenti medici; su quella casa alta dove c'è la tezza c'era un tenente medico. Sono andato da lui e mi ha ingessato il braccio.
Alla sera, alla notte, venendo giù con la confusione, si è rotto il gesso.
Siamo arrivati a Venegazzù, al palazzo di Gasparini. Là c'era un altro ospedaletto da campo, già arrivati prima, loro, è logico. Sono andato a farmi vistare. «Niente da fare, hanno detto; rotto il gesso, oramai deve guarire così.» E così è guarito. Così faccio, ma non così. [Mi mostra il ridotto movimento del braccio]. «Perché non ho la pensione di guerra? Sì o no? Mi sono rotto scappando, io. Da profugo».
Moglie. Sai cosa prende di pensione lui? Prende trentamila lire meno di me! E sarà quarant'anni che è invalido! Che pensione è, quella? E io non avevo le marchette della filanda, perché al tempo della guerra del '40 sono andate sparite. A Treviso non hanno trovato più niente. Tutte quelle come me non hanno preso niente! [...]
Marito. Al mattino siamo partiti appena faceva giorno e siamo andati fin giù a Venegazzù, con due vacche e il carro. Sì, ma cosa vuole caricare? Abbiamo caricato due tre coperte, un po' di pane per mangiare. Siamo arrivati là, pioveva. I militari che arrivavano ci hanno coperto con un tendone e dopo abbiamo lasciato là il carro, le vacche. Abbiamo lasciato là tutto. Dove volevi andare per le strade, con il carro, che non passavi neanche a piedi. Lasciato là tutto, e basta!
Moglie. Perso vacche e perso tutto!
Pavan. Potevate portarvi via le vacche, almeno.
Favretto. Certo, ma come si fa, che ci sono le strade piene di truppa!
Martin. Per fortuna che da noi sono rimasti a casa mio nonno e due miei fratelli più vecchi, fin tanto che la truppa ... perché la truppa era quattro cinque giorni che andava giù [verso Treviso] e dopo sono tornati indietro. Quando la truppa si è sistemata tutta, allora i miei hanno potuto portare le bestie, [che] le ha requisite subito la sussistenza, tutta la boaria e ci ha lasciato una ricevuta. Dopo, un po' di attrezzi li hanno portati a Melma - ora Silea - che mio padre aveva una prima cugina sposata dai Massarotto, là. E quelli sono stati salvati.
Favretto. Invece noi a Venegazzù abbiamo lasciato là tutto, e via a piedi.
Pavan. E lei, signora, dov'era in quei giorni là?
Moglie. Io ero a Santi Angeli. In quei giorni là mi hanno portato giù.
Sono nata a Santi Angeli nel 1912 e anch'io mi ricordo, come fosse adesso, anche se avevo solo cinque anni. Mi ricordo che mi hanno messo sopra a un carro e mi hanno portato a Caerano e quando eravamo a Caerano, la prima notte siamo stati là con mio nonno, mia nonna, mia mamma. Mio padre era soldato, ha fatto sette anni di guerra, e mia povera madre mi ha detto: «Eh, tu è meglio che vada in Bassa Italia.» Mi hanno mandato in Bassa Italia e sono andata fino a Riccia, Campobasso.
Ci hanno caricato su un carro, tutti noi bambini, che non si era solo io e i miei fratelli, si era in tre, c'erano anche quelli delle altre mie zie. La mia casa c'è ancora a Santi Angeli, sulla strada 11, proprio sul confine di Santa Maria.
Ci hanno caricato sul carro e i buoi, hanno caricato tutti i boce e ci hanno portato a Caerano. Per la strada basso, i soldati ... chi ci dava un pezzo di pane, che vedevano questi bambini. I soldati, tutti con questo fucile in mano, chi con e cotolete [le gonnelline], chi con le braghe, perché c'erano anche gli scozzesi. Ci hanno portato a Caerano.
Marito. Non ci si rendeva neanche conto, non si sapeva neanche cosa accadeva. Anche noi quando siamo arrivati a Castelfranco sono arrivati subito i carabinieri. «Non si può, via, via, in Bassa Italia». Ma mio padre e mio fratello che era bociassa allora, 14 anni - 15, hanno iniziato a lavorare subito sulle strade, perché con tutte le truppe, e cavalli e buoi, bisognava pulire la strada.
Hanno iniziato subito, il giorno dopo, a lavorare. Per quello le ho detto che sono venuti a casa con mille lire, perché loro due lavoravano.
I carabinieri ci chiedono: «Dove sono i genitori?» Gli ho detto che mio papà lavorava sulla strada, sotto il comune o sotto il governo, non so e mio fratello anche; sono tutti e due occupati. Allora ci hanno lasciati là.

Nastro 1986/28 - Lato B

Continua Favretto. I soldati quando venivano sul Montello piangevano, tutti. Pensi che erano partiti dal Carso, da Redipuglia...
Qua sono stati pochi morti, in confronto al Carso o ad Asiago.
Pavan. Erano preoccupati questi soldati...
Favretto. Per forza erano preoccupati, Maria Vergine. [...]
All'inizio, subito, erano tutti italiani. Dopo abbiamo incominciato ad incontrare le truppe inglesi, ma dopo due tre giorni, gli inglesi sono arrivati.
Martin. Quando hanno fatto la disfatta di Caporetto, Cadorna aveva intenzione di formare la barriera sul Po, mentre dopo - visto che hanno ingrossato il Piave, che hanno chiuso tutte le Brentelle, che l'acqua entrava tutta sul Piave - allora gli è toccato tornare indietro perché erano quattro cinque giorni che andavano in giù. Avevano passato Treviso, avevano passato Padova, ormai.
Pavan. E gli inglesi, come erano, piangevano anche loro?
Favretto. Ah, erano pacifici loro! Con la fanfara davanti, che noialtri boce si andava sempre ad ascoltare la fanfara! Dietro c'era la truppa, con le sue cucine che fumavano. Facevano da mangiare per la strada [marciando]. Avevano la loro cucina, si vedevano tutte queste marmitte che fumavano. E davanti la fanfara, ah! ma che brava che era. Con questi cannoni che erano lucidi che i te toéa i oci [ti accecavano]. I cannoni, prolungati, ohh! tirati dai cavalli. Avevano di quei cavalli che avevano di quelle zampe!
Ritorno sul Montello. Subito dopo l'armistizio.
Pavan. Vi hanno lasciato tornare qui. Non c'erano i carabinieri?
Favretto. Prima sì, ma si veniva sempre noi, lo stesso.
Pavan. E come facevate?
Favretto. Qua dabbasso alla [presa] 14 c'era Onorato Pellegrin, un carabiniere che abitava da Sbeghen, là, basso. Era anche il fidanzato di una mia sorella. Era carabiniere sul ponte della 14, di guardia, di turno; non sempre lui. Quando c'era lui ci diceva sottovoce «per l'amor di Dio, adesso!»
Per vedere la nostra casa, se era stata buttata giù, o no, quando ti hanno lasciato passare loro [i carabinieri], riesci a venire. E lui si raccomandava: «Non state dirgli che siete passati di qua, ditegli che avete saltato la Brentella, che avete saltato l'acqua. Guai che gli diciate che siete passati di qua, perché vado alla fucilazione!»
Pavan. Vi hanno mai pescato?
Favretto. Una volta siamo venuti fino a dove ci sono le caserme adesso, io e mia sorella Emma. E sparavano, là. Non sparavano mica sempre; qualche giorno sparavano, qualche altro era tranquillo, come adesso.
Sparavano a tutto andare. «Per l'amor di Dio, non state andar avanti, perché qua c'è un macello», ci hanno detto i militari, e ci è toccato tornare indietro. Io ero "appeso" su per un nocciolo che piangevo, perché non volevo tornare indietro. Volevo venire qua. «Eh, andrò a vedere la nostra casa, o no? Se è ancora su o se è giù.»
Insomma mi è toccato tornare indietro, quella volta.
Un'altra volta hanno preso mia sorella, quella famosa, che le ho detto che era un po'... beh, aveva il moroso, avrà avuto vent'anni. Lei e la Emma. Non le hanno prese qua, i militari!
Ormai era anche un pezzo che c'era la guerra. Le hanno prese là e gli hanno chiesto dove andavano, cosa facevano. Gli hanno chiesto tutto e loro gli hanno detto la verità: «Siamo a Castelfranco, siamo venute a vedere la nostra casa.» Per l'amor di Dio! Caricate sul camion, fatto il giro della strada per Ciano, sotto le granate, e portate a Castelfranco.
Eh, siamo venuti qua quattro - cinque volte di sicuro! Venivamo a piedi, da Castelfranco. A piedi, andata e ritorno. Sì, le mie sorelle per prime, ma io volevo essergli sempre dietro, curioso.
Mio padre no, non veniva su. Loro erano a lavorare; e poi era anche più difficile, un uomo, sebben che era vecchiotto, aveva 45-50 anni ormai. Mentre le ragazze e i bambini ... ma anche a loro gli chiedevano come e cosa, e poi hanno voluto anche portarle a casa e hanno voluto venir vedere.
Degli uomini, avevano paura di spionaggio, o no?
Pavan. Al ritorno, come avete trovato questo Montello?
Favretto. La casa era in piedi, c'era anche il tetto, che però spandeva.Era senza solai, balconi, finestre; i solai di legno erano stati bruciati.
La terra era netta, non c'erano più piante. I filari di viti erano tutti rasi al suolo, pestati. Qualche albero c'era, li hanno tenuti in qualche posto. C'erano i castagni. Su qualche posto li hanno lasciati per nascondere la vista, che non vedessero; ma pochi, pochi.
Moglie. Prima della guerra non c'erano neanche le acacie, le hanno piantate dopo.
Pavan. Al tempo della guerra, allora, qui non c'era bosco, era tutto nudo il Montello!
Favretto e moglie. Niente! Bastava guardasse verso il ponte di Vidor, lo si guardava così, si vedeva uno camminare. Il ponte della Priula, da casa nostra [...] neanche; si guardava il ponte della Priula, bene. Non c'erano piante che nascondevano.
Pavan. Allora anche i soldati erano un po' esposti.
Favretto. Certo. Mettevano tutte quelle griglie, c'erano tutte frandhe [letteralmente "frange"]. Le mettevano attraverso le strade, per nascondere. Sembrava come una paglia, una cosa così, insomma.
Martin. Come c'è la plastica adesso, ma allora non esisteva.
Favretto. Quano siamo arrivati qua, era tutto pestato, materiali dappertutto. Carne, se la si voleva mangiare, era ancora - si può dire - calda.
Pavan. A casa vostra cosa avete trovato?
Favretto. Niente, casa vuota. Fuori c'era di tutto. Armi, fucili; giù per le buche, là, giacche, munizioni, bombe, granate, bombe a mano.
Pavan. Ancora in buono stato?
Favretto. Ho tutte schegge qua! Si era tutto il giorno con quella roba là in mano. Una volta mi è scoppiato il fucile; sparando è scoppiata la canna. Ho preso una scheggia sotto la lingua, mi ha spaccato un dente. Ero tutto il giorno con quel mestiere là. Mi piaceva, così. Sparare, sparare.
Martin. Casse intere di cartucce, di bombe a mano, di "signorine", granate. Da noi, finché non sono venuti a fare il rastrellamento i tedeschi che erano stati fatti prigionieri, non ti lasciavano neanche andare a farti l'orto.
Favretto. Nella campagna sono venuti dopo, a cercare questa roba.
Pavan. Dopo quanti giorni?
Favretto. Eh, sono venuti un anno dopo.
Martin. Sono venuti a domandarmi se sapevo dove c'erano granate. Io quelle che sapevo dov'erano gliel'ho indicate.
Pavan. Ma nel frattempo avete venduto il materiale, come ferro, ecc.?
Favretto + moglie + Martin. Ma allora non si vendeva, chi prendeva ferro vecchio? Non lo prendeva nessuno.
Favretto. Sai invece cosa ho venduto tanto? Stracci. Se poi era roba di lana la pagavano anche abbastanza, questi strazzèri. Poco furbi, però, anche noi, baùchi. Perché c'era roba di rame, di ottone fin che si voleva, dio c.!
Pavan. Perché non l'avete venduta voi?
Favretto. Paura, perché non la si può prendere su, è roba del governo.
Moglie. Non si può, non si può. Dopo sì, dopo un pochi di anni si andava anche a palline di piombo, giù per le buche, sotto terra a trovarne un qua e una là. Allora sì che andavano, quelle.
Favretto. Si sarebbe potuto averne fatto piena una galleria di quella roba là.
Martin. Io, che ero della sua età, con la sciabola quando si trovavano questi bossoli grossi gli levavo la corona e si vendeva il rame.
Favretto. Eh, ben. Ne ho levato io di corone, anche su quelle cariche l'ho levata!
Pavan. Non avete fatto i soldi, con il recupero del materiale.
Favretto + moglie. No, no. Tanto per vivere, dio caro; per vivere così, boce.
Pavan. Ma avreste potuto guadagnare, però.
Favretto. Dio! con tutti quei bossoli di ottone e di rame. Che c'erano gli americani che avevano i bossoli di rame ... se li avessimo buttati dentro su una buca e seppellito là. Ma no, perché si aveva paura! Paura perché non si può toccare la roba del governo! Non paura di altro.
Moglie. Se prendono uno lo legano...
Martin. Si aveva paura e dopo si era anche controllati. Là da noi si avevano sempre i militari che venivano a ispezionare, perché prima che andasse via il comando militare, là da noi a Rovarè, ne hai voglia! Sarà stato là tre anni!
Pavan. E qua venivano a controllare spesso?
Favretto. I militari sono stati qua, anche le pattuglie [...] che mi hanno portato anche i travi per mettere sulla stalla. C'era una batteria di militari; otto, dieci, erano. Erano quelli che facevano servizio qua, ma non hanno mai controllato.
Pavan. Insomma avreste potuto nascondere e mettere via molto materiale.
Favretto. Ma quanto! Invece abbiamo lasciato tutto intatto.
Pavan. Le avrete almeno spostate e messe in parte, per poter lavorare la terra?
Favretto. Sono venuti a prenderle su, dopo.
Ma era soprattutto sulle valli, sulle vallate, sulle buche che c'era tanta roba, perché le buttavano proprio a posta.
Gli ossi ho venduto. Gli ossi del bestiame, quelli ce n'erano e ne compravano.
Pavan. Ma che non siano state anche ossa di soldati?
Favretto. Eh, ho trovato anche una gamba, andando a palline, ma insomma. Dietro alla casa là c'erano due muli, seppelliti. Erano appena coperti là. Muli che le granate hanno ammazzato, e sono andato a prendere su gli ossi. È venuto fuori questo straccivendolo e gli ho venduto questi ossi. Prendevo qualcosa; boce! Mi ha detto "andate a prendere anche la testa"... Guarda cosa andavo a vendere, gli ossi.
C'era tanta di quella roba, là, che faceva paura.
In quei primi tempi non prendeva su niente nessuno [anche se] il commercio ci sarebbe stato. Vendevo i fili del telefono. Erano fili grossetti, di rame. Avevo coraggio di bruciarlo con i boce qua della zona. Bruciavo la gomma e dopo si facevano dei mazzetti e lo si vendeva. Quello, si vendeva; ma guarda tu che testa che si aveva!
Pavan. Dove andavate a prenderlo, il filo del telefono?
Favretto. Ma ce n'era a quintali!
Martin. Da noi, sulla nostra campagna era passato un filo telefonico che sarà stato, mettiamo, 40 cm sottoterra. Era grosso così e avrà avuto una trentina di fili di ferro attorno. Dentro c'erano quattro fili di rame. Quando abbiamo levato, si può dire, più di un km di questo cavo. Quando sono venuti a casa i soldati della nostra famiglia e abbiamo allevato i cavalieri [bachi da seta] lo hanno tagliato a pezzi di quattro cinque metri e con quei fili di ferro là hanno sostenuto tutti i grisoloni per i cavalieri, che una volta si mettevano le grisiole [stuoie di canna].
Favretto. Eh, ce n'erano di materiali, qua!
Il filo di ferro, so che c'erano di quei rotoli così e si stentava a portarlo. Era sopra la terra. Quello l'abbiamo venduto, ma venti anni dopo. Abbiamo venduto le palline di piombo; non si trovava più niente ormai, ormai ero già sposato!
Moglie. Siamo andati assieme
Marito. Su questa buca, c'erano i 149. Pesa 45 kg; 16 kg pesa il bossolo, 12 kg sono di palline, poi c'è la corona, la spoletta. Quarantacinque chili, insomma. Il ferro valeva poco poco.
Le palline ... ma dove scoppiava non trovavi più dodici kg, se ne trovavano 8, se erano rimaste là, perché quelli dovevano scoppiare in aria.
Martin. Ma questi proiettili non erano mica tutti con le palline di piombo. C'erano anche quelli con le palline di ferro.
Favretto. Di 149 ce n'erano pochi con le palline di ferro, tutti col piombo, più che sia. I 105, quelli più piccoli, quelli avevano le palline di ferro.
Pavan. Come avete ripreso, a lavorare?
Favretto. Con la vanga, vangare!
Moglie. Me madona [mia suocera] metteva su per le finestre il legno della porta. Per forza, perché, d'inverno, erano rimasti senza porte e senza finestre, al freddo. Dormivano in terra perché il letto non lo trovavano più. Dormire in terra...
Non voglio più neanche pensarci a quelle cose, neanche pensarci!
Favretto. Sulla prima casa che viene dal basso, sulla 12, quella casa grande di contadini più in là degli arditi, una pattuglia di militari [italiani] si sono scontrati con una pattuglia di tedeschi, cinque sei tedeschi, che si erano imbucati dentro la casa, nascosti.
Sono arrivati i nostri e gli hanno sparato. [I tedeschi] volevano difendersi, in sette-otto, ma i nostri li hanno circondati e li hanno presi. Il comandante lo hanno ammazzato subito e gli altri li hanno fatti prigionieri. Aver coraggio di difendersi, in sette-otto; guarda che erano!
Avevano i cavalli, questa pattuglia nostra, e venivano a "tirarmi un tocco di terra" con i cavalli. Han detto: «Trovatevi, l'aratro e noi venivamo con i cavalli», e ci hanno arato un pezzo di terra, gratuito. Altrimenti la vanga, e il picco, e la zappa.
Dopo, un po' alla volta la terra l'abbiamo sistemata.
Martin. Noi invece, laggiù, subito ci hanno passato, una pariglia di cavalli e due muli e dopo, dopo tre quattro mesi, hanno cominciato a mandarci un paio di buoi. Ma erano di quelli piemontesi là, con i corni lunghi, che non erano neanche abituati a tirare. Perché tiravano con le corna, loro, non con il giogo come costumiamo noi.
Pavan. E allora come avete fatto?
Martin. Tribolare. Perché neanche capivano il nostro dialetto... Poi siamo riusciti a farglielo capire!
Dopo abbiamo cominciato a fare amicizia con i mercanti. Ci dicevano: «Guarda, noi andiamo a Conegliano, ci vendi un bue e noi magari ti diamo un paio di vacche, che poi hai il latte e hai il vitello.» Così abbiamo fatto, e li abbiamo cambiati.
Favretto. A noialtri dapprima [quelli del governo] ci hanno dato due vitelle. O meglio, ci hanno dato una vitella e un mulo. Noi abbiamo detto: «Non ci serve il mulo.» e l'abbiamo dato a Moéta che aveva l'osteria qua, dove adesso c'è il dottor Perissinotto. Gli ho dato il mulo e lui mi ha dato una vitella. A lui serviva il mulo, lui faceva l'osteria e gli serviva perché andava a prendersi il vino. Doveva andar oltre il Piave a prendere il vino, perché qua non c'era mica vino, non c'era più niente, avevano tagliato via anche le viti, per far fuoco.
Così noi abbiamo avuto due vitelle.
A Valdobbiadene c'era il vino, e per arrivarci attraversavano il ponte di Vidor.
Le due vitelle che ci hanno dato per aiutare questa gente, ce le avranno date perché le tenessimo, o no? Dopo un poco ci hanno mandato il conto e ci è toccato andar a Nervesa, al comando, a pagarle!
Avevano detto che ci avrebbero aiutato, che ci sarebbero venuti incontro, che ci davano queste bestie perché ci si potesse avviare ma dopo un anno ci hanno mandato il conto e siamo andati al comando di Nervesa a pagarle. Ci è toccato pagarle. [...]
Gli inglesi, i danni che hanno fatto li hanno pagati, subito, prima di partire. Fine della guerra hanno pagato il danno che hanno fatto, perché erano qua sulla costa, erano tutte artiglierie, non erano mica al fronte, loro.
Quello che avevano rotto quando avevano fatto ricoveri ... qua i ricoveri li hanno fatti tutti gli inglesi; piene le valli, tutti ricoveri. Buchi per nascondersi.
Prima di partire hanno pagato: [solo] il danno che hanno fatto loro, però e hanno pagato direttamente il contadino, il proprietario.
Dopo, quando gli italiani ci hanno pagati i loro, di danni, abbiamo dovuto andare a Istrana a portare indietro i soldi che ci avevano dato gli inglesi. Non so perché; quelli che abbiamo preso dagli inglesi abbiamo dovuto darli indietro.
Alla fine della guerra abbiamo fatto denuncia. Tanto danno della casa, tanto danno del terreno, tanto danno di tutto. Abbiamo fatto il conto e ci hanno dato 25.000 lire, di danni.
La casa, se si vuole ripararsela noi possiamo farlo ... se vogliamo darla a una cooperativa, a un'impresa ... ma le imprese dopo hanno mangiato. Noi ci siamo arrangiati fra di noi, come abbiamo potuto. 25.000 lire era compreso tutto.
Ma alla fine ci hanno dato 22.000 lire...
Pavan. Perché?
Favretto. Mi dica un po' lei.
Pavan. Perché avete dovuto rimborsare gli inglesi.
Favretto. No, quelli erano già stati dati. Non ce li hanno dati tutti, io non so il perché.
Moglie. Perché si era ignoranti e di "studiati" non ce n'erano, e loro hanno fatto quel che hanno voluto.
Pavan. I soldi, dove siete andati a ritirarli, poi?
Favretto. Al comando? C'era il comando a Nervesa; mi sembra fosse là.
Martin. I nostri dovevano andare a Roncade.
Noi si era in affitto "a generi". Il bestiame era nostro, tutti quanti gli attrezzi erano nostri: ci hanno pagato bene; non si era mezzadri.
La casa che era stata buttata giù, quella che era sul comune di Breda e che c'è ancora oggi ... c'erano le cooperative. Se si voleva prendersi un'impresa, sennò la cooperativa, tramite quest'agenzia che pagava i danni. Facevano il preventivo: la casa era così e bisogna fare così. A noi ci avrebbero dato la casa finita, completa. Della casa non si prendevano i danni; si prendevano i danni dell'agricoltura, della campagna, degli attrezzi, del bestiame, di tutto quello ma della casa no.
Favretto. Abbiamo preso meno soldi e le vitelle abbiamo dovuto pagarcele.
Perché, chi si faceva avanti. Da chi?
Che si era tutti che non si sapeva fare neanche il nostro nome!
Io ho fatto la prima elementare [anche Primo Martin] e dopo, dieci giorni della seconda, perché il giorno di San Martino siamo andati via. La scuola era cominciata come adesso, no so se il primo ottobre. Dopo non ne ho più fatta.
Moglie. Io invece ho fatto la terza.

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